Cultura

Un bagno di realtà nel presente che ci interroga

Un bagno di realtà nel presente che ci interroga

FEMMINISMO A proposito del documento del Gruppo del mercoledì

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 6 marzo 2020

È una cartografia del presente quella che si dipana nel lungo e denso documento redatto dalle femministe del Gruppo del mercoledì (Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Elettra Deiana, Letizia Paolozzi, Bianca Pomeranzi, Stefania Vulterini). E mai titolo è stato più efficace per fotografare la situazione di incertezza e di risorsa che, le pratiche femministe in particolare, ci consegnano tra le mani ancora: «Andare e tornare: dall’io al noi e dal noi all’io» (la versione integrale si trova qui). Scritto alla fine di febbraio, l’emergenza sanitaria confermata dall’ultimo decreto non era ancora diffusa in tutto il territorio nazionale; eppure le parole trovate per descrivere la rabbia e la rivolta da cui è agitato il mondo, sono puntuali quanto attuali.

COMPRESO il «bagno di realtà» che occorre per prendere parola su di esso e sui corpi che lo abitano. In questa realtà, geograficamente stagliata dal Cile a Hong Kong, dalla Bolivia al Libano all’Algeria, dall’Iran all’Iraq passando per il Brasile, l’Australia e la Cina, si intrecciano sorti e conflitti capaci di mutare di segno «l’agire collettivo e le singole vite». I quindici punti del documento sono l’esito degli ultimi mesi di stravolgimenti così pure di protagonismi femminili, da quello in America Latina di «El violador eres tu» alle ragazze e ragazzi di «Fridays for future». La nominazione è quella di soggettività politiche diverse che hanno in comune «il rifiuto dei rapporti di potere e di sfruttamento. Eppure ribellarsi non basta». Allora cosa ci è sufficiente? Cosa può bastare? Quale la misura da adottare in questa esorbitanza, politica ma anche sentimentale, che attraversa costanti insidie all’apparenza erosive dei guadagni acquisiti? Identità naturali, nazionalismi e sovranismi, pieni poteri, l’avanzare delle destre. La misura potrebbe cominciare dall’ascolto attento, di promesse millantate, di vincite e supremazie inventate. Passando sempre da quel punto focale: la realtà. Basta voltarsi, anche solo in questi giorni, per capire quanto sia essenziale ritrovare la cura delle parole, il tempo che si accorcia e si ribalta nella sua qualità che è l’emersione dello smarrimento e della presa di coscienza e responsabilità. Dall’io al noi e dal noi all’io, perché è proprio il femminismo che ha insegnato quanto l’essere «almeno due» possa portarci nel mondo di altri e altre. E che niente è in mano solo nostra. Senza questo dato, la politica frana.

L’ABUSO è uno dei volti della violenza che compaiono nel documento. Non solo nei confronti delle donne ma anche dei migranti, bambini compresi – come si consuma in questi giorni in Grecia e nei numerosi teatri di guerra internazionali. «La prima, radicale, azione politica, lo abbiamo appreso nel femminismo, consiste nel cambiare l’ordine simbolico. Spostare lo sguardo, dare un altro nome alle cose significa trarre fuori dalla rappresentazione dominante la realtà che ci interessa modificare: usare la forza della competenza, dell’esperienza acquisita e non la violenza». Il maggiore nocumento che possiamo procurarci è allora «la volontà di dividere nettamente ragione e torto che inibisce il confronto, anche nel conflitto, negando le differenze tra donne e tra femministe».

MANTENIAMO tra le mani la capacità di incontrarci e di ascoltarci, di invenzione in un presente alle prese con l’imponderabile che assedia e ci anticipa, talvolta ambiguamente: varrebbe la pena interrogarsi su quel niente sotto il nostro controllo, su quel niente che possiamo decidere, se non riconosciamo anzitutto la nostra e altrui vulnerabilità. «Nel presente e nel futuro – proseguono – possiamo solo dividerci, necessariamente in pace, la terra, l’acqua, il cibo che restano. E mettere in scambio i bisogni dell’anima». Si potrebbe aggiungere la circolazione anche dei desideri, quelli che parlano all’amore e alla cura di cui siamo capaci. E che siamo disposte ad accogliere.

 

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