Cultura

Un antidoto alle scorie della propaganda che non dimentica le vittime

Un antidoto alle scorie della propaganda che non dimentica le vittime1942, un villaggio jugoslavo incendiato dalle camicie nere. Foto tratta dal libro «Storia delle rivoluzioni del XX secolo», secondo volume (Editori Riuniti)

Giorno del Ricordo «Dossier foibe» di Giacomo Scotti, ripubblicato da Manni ed impreziosito dalla prefazione del compianto Enzo Collotti e dalla postfazione di Tommaso Di Francesco. Nel volume, il quadro delle violenze perpetrate nell’area dall’alba del 900 alla Guerra mondiale e oltre. Sulle tragiche vicende del confine orientale trovano nuova linfa retoriche revisioniste del nostro passato

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 9 febbraio 2022

L’uso pubblico e politico della storia finalizzato al «governo del presente» è, da sempre, tentazione e prassi irrinunciabile per ogni assetto egemonico di potere, specie se attraversato da momenti di difficoltà e crisi di credibilità. Per questo non stupisce l’accanimento con cui il Parlamento italiano nel corso degli anni ha legiferato in materia storica attraverso scelte contrastate e spesso contraddittorie, figlie della fine della Guerra Fredda; della crisi dei partiti di massa; del loro indebolimento strutturale nella società.

TRA LE DATE «DISCORDI» di questo riformulato calendario neomemoriale bipartisan (che per quasi tutto l’anno accompagna celebrazioni e cerimonie dove spesso la retorica è l’elemento prevalente) quella del 10 febbraio, come giorno del Ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo, è senza dubbio quella più critica e discussa. Non solo per l’indicazione di una ricorrenza che confligge a livello internazionale con l’anniversario della firma del Trattato di Pace di Parigi del 1947 (ovvero la conclusione diplomatica della Seconda Guerra Mondiale scatenata da Germania, Italia e Giappone) ma anche perché le violenze sul confine italo-jugoslavo, che genericamente vanno tutte indistintamente sotto il nome di foibe, si manifestarono nel settembre-ottobre 1943 e poi nel maggio 1945. Quindi date storicamente assai lontane dal 10 febbraio.

Attorno al giorno del Ricordo, grazie ad una destra identitariamente estranea alla radice fondativa antifascista della Repubblica, hanno trovato nuova linfa retoriche distorsive e revisioniste del nostro passato recente imperniate su un paradigma composto da caratteri specifici del nostro modo di leggere la storia patria.

COSÌ VITTIMISMO nazionalista; malcelate istanze regressive di «rivincita antiresistenziale»; mito degli «italiani brava gente» hanno composto una retorica foriera di tensioni e scontri (che non sono mancati tra le più alte cariche dello Stato italiano, sloveno e croato a proposito di una mai esistita «pulizia etnica» anti-italiana) che allontana tanto la conoscenza storica dei fatti quanto la formazione di una coscienza critica incentrata sull’amicizia tra i popoli.
Per queste ragioni un efficace antidoto alle scorie della propaganda è rappresentato dal volume scritto da Giacomo Scotti, Dossier foibe (Manni, pp. 208, euro 18), appena ripubblicato ed impreziosito dalla prefazione del compianto Enzo Collotti e dalla postfazione di Tommaso Di Francesco.

Scotti non solo ricostruisce il contesto che caratterizzò il confine italo-jugoslavo a partire dall’alba del Novecento fino alla fine del secondo conflitto mondiale ed alle foibe ma, attraversa quel tempo della storia, ricostruendo la nascita di quel «fascismo di frontiera» e di quell’uso della violenza che, ancor prima della cosiddetta «marcia su Roma», fece delle milizie di Mussolini «non una promessa – scrisse il futuro duce su Il Popolo d’Italia nel 1920 – ma l’elemento preponderante della situazione politica nella Venezia Giulia».

L’autore restituisce in questo modo le politiche di snazionalizzazione praticate dal fascismo negli anni della dittatura e poi della guerra; racconta, con documenti e testimonianze, delle stragi, delle deportazioni, degli internamenti e delle razzie compiute dal regio esercito e dalle camicie nere a partire dal 6 aprile 1941, giorno dell’invasione nazifascista della Jugoslavia; giunge a raccontare le violenze del 1943 e del 1945 subite dagli italiani, vissuti dalla popolazione civile jugoslava come occupatori.

SCOTTI SCRIVE E RACCONTA con lo sguardo peculiare di chi, come lui, si sente cittadino del mondo e rifugge ogni revanscismo nazionalista. Nato a Napoli nel 1947, dopo la firma del Trattato di Pace di Parigi, emigra in Jugoslavia e vive la sua doppia cittadinanza come una risorsa indispensabile alla figurazione di un futuro di pace, cooperazione tra i popoli e lotta antifascista.

Il suo libro resta un punto di osservazione insieme esemplare ed esemplificativo che consente di comprendere anche i meccanismi distorsivi della propaganda: «Non era difficile – scrive Collotti nella sua prefazione – prevedere che collocare la Giornata del ricordo a quindici giorni dal Giorno della memoria avrebbe significato dare ai fascisti e ai postfascisti la possibilità di urlare la loro menzogna-verità per oscurare la risonanza dei crimini nazisti e fascisti e omologare in una indecente e impudica par condicio della storia tragedie incomparabili».

Il volume di Scotti ricostruisce e spiega la complessità dei fatti della storia e contestualmente, nel rispetto assoluto delle vittime, «non omologa né condivide – sottolinea Di Francesco – ossia non dimentica la sostanziale differenza tra i massacratori nazifascisti e chi, giustamente, prese la parola e le armi per combatterli».

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