Rubriche

Un altro ritmo

Ri-mediamo La rubrica settimanale di Vincenzo Vita

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 7 gennaio 2015

La politica italiana si è fatta sempre più cerimoniale (gli avvenimenti montati secondo logiche e ritmi da situazione «eccezionale»), per riprendere un tema caro ai sociologi Katz e Dayan. I quali sottolineano quanto tutto ciò sia una modalità di soddisfazione e – pure – di controllo della società. Quest’ultima tende a preferire – non tutta, ovviamente – «una politica emotiva al dialogo e al dibattito» (1992): una politica, cioè, deviata e distorta dai grandi eventi mediatici.

Dalla vicenda dell’omicidio del giovane Loris, al naufragio del traghetto «Norman Atlantic», al tormentone sull’assenteismo dei vigili di Roma, alla guerriglia psicologica anti-Tsipras in vista delle elezioni in Grecia, il «main stream» dell’informazione corre sui consolidati binari della logica sopra evocata. Cui non sfugge il rullo compressore mediatico di Palazzo Chigi.

Al di là della prevalenza quantitativa, a costituire una rottura qualitativa è la trasformazione del flusso informativo in un mosaico narrativo, di cui la cronaca (meglio nera, naturalmente) e la politica – personalistica e romanzata – sono le sequenze privilegiate, sorreggendosi a vicenda. A scapito delle «hard news», le notizie in senso stretto, quelle affrontate dal giornalismo «cane da guardia», il cui territorio è costretto nei recinti delle apposite rubriche (da Report in poi), salvo eccezioni. E su cui piovono censure e querele.

Due modelli per due tipologie di fruizione: generalista e anziana l’audience dei telegiornali, di maggiore scambio generazionale i luoghi dell’approfondimento critico. Monomediatica l’una, multipiattaforma l’altra. La «mediamorfosi», ben descritta anni fa dallo studioso Roger Fidler (1997). Anche di questo dovrebbe occuparsi l’annunciato piano di riordino dei telegiornali da parte della direzione generale della Rai, piuttosto che badare al mero accorpamento delle testate.

Insomma, è in corso una «controrivoluzione» silenziosa e silenziata, parte integrante della tendenza a depotenziare le rappresentanze del corpo sociale, nonché a indebolire strutturalmente (e non solo episodicamente) l’autonomia e l’indipendenza dell’ex Quarto Potere. Un sistema politico prepotente, ma impotente rispetto alla vera immanenza della stagione tecnologica – l’immensa circolazione deregolata dei dati e dei metadati – si appaga con il controllo della tradizionale cittadella mediale, lasciando il grosso ai vari Google, Yahoo, Amazon , e così via. O all’immarcescibile Murdoch.

«Tutto sbagliato, tutto da rifare», diceva Bartali. Appunto. Perché non togliere, allora, ogni dubbio sulla voracità del «patto del Nazareno» abrogando la legge Gasparri – la sbiadita bandiera dell’occupazione dell’etere da parte dei cavalieri dell’ex Cavaliere – e introducendo il tema del conflitto di interessi (due semplici articoli: sulle cause di ineleggibilità e sulle eventuali incompatibilità, Berlusconi e non solo) nella annunciata legge elettorale? Sarebbe il minimo indispensabile dopo la crisi di credibilità di un governo pesantemente segnato dall’incidente del comma-vergogna inserito nel decreto fiscale, che fa pensare alla stangata raccontata da «Regalo di Natale» di Pupi Avati. E, sempre per stare nel cinema, il cosiddetto errore-sanatoria (pro Berlusconi e pro altri ricchi) evoca gli scenari inquietanti descritti da Joseph Losey negli anni sessanta in «Accident», dove si spiega che un incidente non è poi come sembra e i «buoni» non sono così buoni. L’obbligo della verità vale sempre, a maggior ragione per chi maneggia il potere.

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