Un altro «mattone» per la vita artificiale
BIOTECNOLOGIE La produzione di un batterio sintetico
BIOTECNOLOGIE La produzione di un batterio sintetico
I ricercatori del J. Craig Venter Institute hanno annunciato di aver messo a punto in laboratorio l’organismo vivente minimo, cioè con il minore numero di geni nel suo Dna. Il batterio, denominato dai suoi creatori Syn3.0 e descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Science, è un organismo sintetico. È stato infatti creato artificialmente a partire da un altro batterio esistente in natura, Mycoplasma mycoides, il cui Dna è stato letteralmente smontato e rimontato usando solo i geni ritenuti indispensabili per garantire il ciclo di vita del batterio. Ogni gene corrisponde, secondo un modello molto semplificato, a una funzione biologica che permette la sopravvivenza e la riproduzione del microorganismo. Alla fine, il batterio sintetico possiede solo 473 geni, qualche decina in meno del Mycoplasma genitalium, l’organismo più semplice noto finora, basato su soli 525 geni.
È il punto di arrivo di un’impresa durata vent’anni, che porta la firma di Craig Venter, il fondatore dell’omonimo istituto, e dei suoi fidati capi-progetto Hamilton Smith e Clyde Hutchison. Il Dna degli organismi, da quelli più semplici ai più complessi, è un sistema molto complicato, in cui un gene corrisponde a più funzioni e una funzione può essere svolta da più geni. Gran parte del Dna (il cosiddetto «Dna spazzatura») peraltro appare ridondante e privo di una funzione biologica, secondo le conoscenze attuali. L’obiettivo di Venter e soci era proprio capire quali «mattoni» di questo articolato edificio sono davvero essenziali. Scoprirlo ci permetterà di conoscere meglio i meccanismi fondamentali della vita e disporre di componenti base con cui costruire organismi a tavolino alla maniera dei modellini Lego.
Per raggiungere lo scopo, i ricercatori hanno dovuto scomporre il Dna di Mycoplasma mycoides in 8 segmenti. Poi li hanno modificati, accorciati e riassemblati fino a trovare, dopo molti tentativi, la combinazione più corta compatibile con una capacità riproduttiva sufficiente. Ridurre la vita ai minimi termini, però, si è dimostrato più arduo del previsto e denso di insegnamenti.
Innanzitutto, il Dna di Syn3.0 contiene ben 149 geni la cui funzione non è ancora nota. La presenza di questo geni si è rivelata infatti indispensabile per la sopravvivenza del batterio. Inoltre, esso sopravvive solo nell’ambiente protetto del laboratorio: per adattarsi ad altri ecosistemi servirebbero altri geni, e addio record. Dunque lo studio sembra smentire i suoi stessi presupposti. Innanzitutto, anche il batterio più semplice deve contenere un notevole grado di ridondanza e di complessità. Anche a questo livello di semplicità, la funzione di un gene è indissolubilmente legata all’interazione con gli altri geni. «Dobbiamo abbandonare la visione tutta centrata sul singolo gene, e considerare il genoma nel suo complesso», ha ammesso Venter.
In secondo luogo, il concetto stesso di organismo minimo muta secondo il contesto e Syn3.0 è solo uno dei tanti possibili esempi. Dunque, ci racconta ben poco sulle forme di vita primordiali all’origine dell’attuale biodiversità, contrariamente a quanto sperava Venter.
Creare l’organismo essenziale era uno degli obiettivi che lo scienziato statunitense si era dato negli anni Novanta, cucendosi addosso la doppia fama di scienziato visionario e di spregiudicato manager delle allora nascenti biotecnologie. Negli stessi anni, con la sua società privata Celera Genomics aveva realizzato il primo «sequenziamento» dei Dna umano, in competizione (vittoriosa) con l’analogo progetto internazionale pubblico che poteva contare sulla partecipazione di università e centri di ricerca di tutto il mondo. Sembrava la definitiva affermazione dell’approccio proprietario alle scienze della vita, invece Venter spiazzò tutti e partì col suo yacht a scoprire gli organismi ancora sconosciuti che popolano gli oceani.
Il «modellino» della vita dovrebbe servire a capire la funzione dei singoli geni, che negli organismi complessi è spesso difficile da decifrare, e a creare da zero batteri in grado si svolgere compiti utili all’industria. A vent’anni di distanza, però, il bilancio della biologia sintetica è tutt’altro che trionfale. Il contesto infatti è assai diverso da quello di partenza. Per esempio, oggi esistono tecniche di modifica genetica, come la ormai celebre Crispr-CAS9, che permettono di togliere e aggiungere geni con grande facilità e osservarme le conseguenze: per ora, sembra un metodo più efficiente per scoprire le funzioni genetiche. Inoltre, come ha fatto notare Matthew Herper sulla rivista «Forbes», gli investitori non sono più così convinti che usando batteri sintetici si possa produrre farmaci o biocarburanti a costi ragionevoli, soprattutto con il petrolio agli attuali prezzi stracciati. Alla fine, Syn3.0 potrebbe rivelarsi solo un grande risultato della ricerca di base. Una volta ancora, lo scienziato avrebbe visto più lungo del manager.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento