Cultura

Un agente speciale della dignità calpestata

Un agente speciale della dignità calpestataUn'opera di Martin Kippenberger

Noir «Sara», nuovo appuntamento con Massimo Carlotto e Marco Videtta. Palazzinari, politici corrotti e malavitosi in via globalizzazione. E una donna alla ricerca di una scomoda verità. La terza puntata delle «vendicatrici» ripercorre la cruenta genealogia del nuovo sacco di Roma

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 12 novembre 2013

Quattro donne con una storia di dolore alle spalle, ma che hanno deciso di riprendersi le loro vite. Si ribellano a chi le tiene segregate in case, seviziandole per soddisfare le proprie fantasie sessuali. Oppure, cacciano di casa il marito che le tradisce sperperando i risparmi faticosamente accumulati. Nella loro rivolta fanno conoscenza tra loro ed entrano in rotta di collisione con la fitta rete criminale che tiene in scacco Roma. Sono altresì donne che stringono un patto di amicizia che le rafforza e le aiuta nel loro affrancamento da un potere patriarcale che, nel suo declino, mostra il volto feroce di chi non vuole rinunciare al possesso e al controllo delle donne.

È questo il filo rosso che unisce le protagoniste della serie «le vendicatrici» nata dalla collaborazione di Massimo Carlotto e Marco Videtta. Dopo quella di Ksenia, la casa editrice Einaudi ha pubblicato le storie di Eva e Sara.

Ksenia è una donna russa costretta a colpi di minacce di morte alla sua famiglia e botte a diventare la «schiava» di uno strozzino. Nella sua ribellione ha incontrato le altre, che costituiscono una vera e propria crew di mutuo soccorso. Eva, invece, è la proprietaria di un negozio di profumi: entra nelle mire dello strozzino – ma dietro di lui ci sono ben altri interessi criminali – che ha prestato soldi al marito, accanito giocatore d’azzardo. Il braccio armato della banda è Sara. Per «salvare» Ksenia e Eva non esita a sparare, ricattare e uccidere. È una vendicatrice armata di dignità calpestate. Per Sara il motto no justice, no peace spesso diventa operativo a colpi di pistola.

Ossessione di giustizia

Massimo Carlotto e Marco Videtta fanno esprimere questo concetto attraverso una frase di Luisa Muraro, ripresa dal saggio della filosofa femminista, Dio è violent è posta in apertura del primo romanzo. Con il terzo appuntamento della saga, Sara (Einaudi, pp. 182, euro 15) preferiscono invece soffermarsi sul potere manipolatorio delle apparenze e dei luoghi comuni, usando una frase della scrittrice Goliarda Sapienza, diventata con i suoi romanzi recentemente ripubblicati una sorta di figura centrale nella politica del desiderio. La protagonista di questa «puntata» è dominata però da un’ossessione, che l’ha portata a diventare una combattente. È stata anche una agente dei Nocs, dove ha imparato l’arte della guerra. Un’ottima agente, dice un suo ex-collega, anche se dominata dal demone della vendetta. Suo padre, infatti, è stato rapito quando era bambina. Un rapimento dal quale il genitore non è più tornato. Sara vuole giustizia. Da agente dei corpi speciali dei carabinieri ha svolto indagini che l’hanno portata a una famiglia di «palazzinari» romani al centro di una fitta trama di criminalità organizzata, politici corrotti e speculazione edilizia. Il figlio del patriarca si diletta a seviziare le segretarie dopo averle fatte innamorare. Come risarcimento, sono licenziate con uno squallido appartamento come buona uscita. Per Sara deve pagare, ma solo dopo aver rivelato cosa sa del rapimento di suo padre.

È questa la parte del libro in cui è forte l’eco con i precedenti appuntamenti. Ne esce un affresco della trasformazione della malavita romana, che compie il grande salto entrando in rapporto con la criminalità organizzata e il traffico di cocaina, anche se il compimento finale della svolta avviene con l’inserimento nel circolo esiziale stabilito da mafia, camorra, esponenti politici e costruttori romani. I due autori scelgono di far raccontare la Roma criminale al patriarca palazzinaro. Il pregio di queste pagine sta nel concedere nulla all’epica del self made man. Si diventa importanti costruttori non perché bravi, ma perché si hanno gli amici giusti, stabilendo una ferrea e duratura regola del do ut des. Così i malviventi aiutano a rimettere in riga gli operai che protestano perché non vedono da mesi il salario; i criminali, a loro volta, possono riciclare il denaro sporco nelle attività immobiliari, che vedono consiglieri comunali, sottosegretarie e ministri fare di tutto per facilitare quel gruppo immobiliare, che ricambierà il favore raccogliendo voti per i medesimi personaggi politici nelle elezioni locali o nazionali.

Ma Sara non si accontenta di capire il contesto dove è accaduto il rapimento del padre. Lavora a raccogliere informazioni, entrando in rapporto con personaggi della Roma notturna, dei locali di Via Veneto – la dolce vita è un ricordo, perché ormai sono luoghi frequentati da tossici di lusso e escort a caccia del ricco russo che è sbarcato nella capitale pieno di soldi da gettare al vento. In questo calvario, la protagonista incrocia anche una banda di malviventi dell’agro pontino, alcuni dei quali in gioventù sono transitati per i gruppi neonazisti. Anche loro dovranno vedersela con la «vendicatrice», che si troverà poi catapultata a Malta dove avrà finalmente la possibilità di sbrogliare l’intrigata matassa della scomparsa del padre.

Criminali in doppiopetto

Come anche nel secondo libro della serie, quello dedicato a Eva, i due autori si propongono di sovvertire le regole del noir per cogliere una realtà in divenire come è quella del rapporto sempre più simbiotico tra criminalità, economia «legale» e politica. Lo fanno mettendo al centro della scena alcune donne, quasi che uno sguardo «sessuato» riesca laddove le parole neutre del maschile hanno fallito. In questo, ma solo in questo, ci sono assonanze con la trilogia di Millennium dello scrittore svedese Stieg Larsson. In entrambi i casi, le protagoniste sono, infatti, donne. Ma forti sono le dissonanze.
Nel ciclo di Larsson la speranza è sempre a portata di mano. In questa serie di Carlotto e Videtta la speranza è un’attitudine a guardare il mondo senza cadere in tentazioni autoconsolatorie. Per coltivarla serve molto più che credere nella parte «buona» dello Stato. Semmai, ci può essere luce (la frase di Goliarda Sapienza in apertura di questo romanzo) solo se si accetta il fatto che la dea bendata della giustizia deve togliersi la benda e, a volte, essere una dea violenta.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento