Umut Adan: «Il mio racconto in musica di un’altra Turchia»
Incontri Cantante e chitarrista di Istanbul, parla nelle canzoni delle contraddizioni del suo paese. Lo vedremo stasera a Ravenna, il 19 a Montemarciano e il 20 a Torino
Incontri Cantante e chitarrista di Istanbul, parla nelle canzoni delle contraddizioni del suo paese. Lo vedremo stasera a Ravenna, il 19 a Montemarciano e il 20 a Torino
Auspicarsi che la musica possa raffreddare un mondo che brucia non è la prospettiva più ottimistica. Però ascoltare messaggi di speranza è necessario, specialmente se si tratta di un bel disco che ci immerge in un paese dove i diritti civili sembrano perduti. Cantante e chitarrista di Istanbul, Umut Adan esce con il suo primo lp Bahar (World Music Network), dove la musica popolare incontra il rock anatolico e inglese. Umut è impegnato in un tour europeo che tocca il nostro paese: dopo Roma, stasera a Ravenna (Bronson), il 19 a Montemarciano (La Centilena), il 20 a Torino (Magazzini) e, vista la situazione geopolitica, per un artista turco deve avere un significato particolare: «Ho sicuramente una responsabilità. Il miglior servizio è portare qualcosa di vero dalla cultura del mio paese. La vera ricchezza della musica dell’Anatolia è da sempre il songwriting, la tradizione della canzone e della parola».
PRODOTTO a Londra da Liam Watson e Marco Fasolo che lo ha anche arrangiato, la musica di Adan ha i piedi ben piantati nella tradizione turca. Talvolta i segni del passato vengono accumunati ai valori conservatori, Adan però rinnova la cultura musicale di un Paese sganciandosi dagli estremismi del nazionalismo: «Le tradizioni ed i valori vengono manipolate dai valori conservatori. Chi tiene l’eredità del tradizionalismo in mano spesso ha solamente il proprio arrivismo. Ma la musica popolare turca è stata spesso un motore della cultura progressista. Da noi il 68 ha dato il via a un genere musicale chiamato “Anadolu Pop- Psych Folk”, Mahzuni Perif, Muhlis Akarsu, Nesimi Çimen, e altre decine di poeti popolari hanno prodotto lavori che gridavano al mondo la voglia di libertà e di fratellanza universale. Erano anni in cui la Turchia ospitava tanti giovani stranieri diretti in India, solo che il nostro 68 è finito in un modo diverso che nell’occidente». Nel disco ci sono riferimenti ai quartieri multietnici di Istanbul, la Turchia però sembra vivere una condizione di chiusura, gli artisti riescono ad essere pubblicamente solidali con il popolo curdo? «Quando siamo per le strade non sappiamo quasi mai chi di noi è un curdo e chi no. Siamo fratelli dei curdi. È un popolo che soffre, purtroppo però ci sono tanti problemi come le disuguaglianze socio economiche e quelle uomo-donna, lavoro infantile, i diritti delle donne. Ma ciò che succede sul piano degli interessi internazionali noi cittadini ne sappiamo davvero poco, è indicativo che oggi non abbiamo più la satira per esempio…».
Bandırma Başkent Oldu è un brano politico, siamo rimasti impressionati dal vedere i calciatori turchi fare il saluto militare: «I tre golpe militari del ventesimo secolo hanno interrotto la comunicazione tra le generazioni».
NEL DISCO almeno tre pezzi sono dedicati ai giorni di Gezi Park: «Con Gezi Parkı arrivava qualcosa di nuovo ma sotto si sentiva la paura per le nuove scosse politiche. Personalmente avvertivo una sensazione di esclusione. Ho dato spazio a questa sensazione durante l’elaborazione dei testi, e forse ho intuito il futuro, quello della crisi politica, della svalutazione della lira e lo scontro tra i popoli. Conosco il mio popolo e la sua storia politica».
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