Alias Domenica

Umberto Saba, l’auto-commento come semenzaio per l’indagine critica

Umberto Saba, l’auto-commento come semenzaio per l’indagine criticaMario Lannes (1900-1983), «Paesaggio, Trieste», Fondazione CRTrieste

Novecento italiano «Lo Specchio» ripropone «Storia e cronistoria del Canzoniere» (1948) di Umberto Saba: singolare esercizio di ricostruzione e chiosa della sua stessa poesia, che risulterà prezioso per gli interpreti più avvertiti (Lavagetto)

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 giugno 2023

«Sono estremamente preso dal mio libro: sto dalle 10 alle 12 ore alla macchina da scrivere. Sento che è il mio ultimo libro (…) ma che libro! (…) Voglio che fra 40-50 anni (prima non c’è nemmeno da pensare) gli italiani scoprano che, nell’epoca più funesta della loro storia, c’era un italiano (uno solo, e periferico) che… aveva capito qualcosa». È l’1 giugno del 1947 quando Umberto Saba invia questa lettera a un giovane Vittorio Sereni; il libro a cui fa riferimento, che lo sta impegnando freneticamente, è Storia e cronistoria del Canzoniere. Adesso, oltre cinquant’anni dopo la prima edizione, licenziata per «Lo Specchio» nel ’48, la stessa collana ripropone – a cura di Stefano Carrai (Mondadori, pp. XX-286, € 20,00) – quel «“romanzo” di una grande opera di poesia» che coincide con il «“romanzo” della vita» di Saba. Il pregio di questa nuova edizione consiste anzitutto nel rendere disponibile il testo singolarmente, molti anni dopo che l’editio princeps e la ristampa del ’63 erano diventate irreperibili e il volume era confluito in compagini più ampie, come il «Meridiano» dedicato a Tutte le prose di Saba (dove Storia e cronistoria appare nella lezione stabilita da Arrigo Stara, adottata da Carrai).

L’eccezionale qualità del libro l’ha reso uno strumento imprescindibile per gli studiosi del Canzoniere, facendo guadagnare a Saba «la palma nel campo dell’autocommento» nel Novecento, come avverte il curatore. Ma la sua importanza, più che all’estensione cronologica e alla qualità delle chiose ai testi (arricchite di «particolari e di fatti, i quali solo chi li aveva vissuti poteva essere a conoscenza») si deve forse a un terzo elemento, che fa di Storia e cronistoria un semenzaio inesauribile per l’indagine critica in ogni sua declinazione (tematica, genetica, psicoanalitica): è l’impronta radicalmente soggettiva attraverso cui passa il racconto della poesia del Canzoniere a rendere infatti prezioso il documento sabiano, quasi che proprio la sua parzialità, il peggior difetto di uno scritto per vocazione «scientifico», finisca per fare di Saba il miglior critico di se stesso.

Così nelle prime pagine del volume, in cui Giuseppe Carimandrei (pseudonimo dell’autore) fa il punto sulle ragioni della «contrastata fortuna» del Canzoniere, le riserve espresse nei confronti di Gozzano («siamo molto in dubbio che la nascita di Guido Gozzano rappresenti, per la letteratura italiana, una fortuna maggiore di quella che sia stata … la nascita del Fusinato») tradiscono il fastidio di Saba per essere stato rubricato fra i crepuscolari dal concittadino Scipio Slataper su «La Voce», nel 1911; oppure, poco oltre, la stoccata a certa «critica d’oggi (o di ieri?)», che cerca in poesia «un’ipotetica purezza», ribadisce il netto rifiuto dell’estetica di Croce, il cui giudizio su A mia moglie non aveva lusingato il poeta triestino («Le sue poesie hanno qua e là dei movimenti vivaci, ma mancano ancora di qualunque elaborazione formale», gli aveva scritto il filosofo).

Nelle pagine del volume emerge anche l’eccezionale importanza che proprio questa lirica, A mia moglie, riveste nel Canzoniere: è «la sola del Nostro che abbia suscitato un po’ di scandalo», scrive Saba, e «se di questo poeta si dovesse conservare una sola poesia, noi conserveremmo questa». È raro, nel Novecento, che un poeta dia giudizi tanto esposti riguardo al valore di un singolo testo nel sistema della propria poetica: la libertà di Saba emerge anche nel vaglio della poesia dei contemporanei («come “trovatore d’immagini”, nessuno ne evocò di più profonde e di più nuove di Montale; l’Immaginifico era, in suo confronto, un cafone»: la freccia avvelenata colpisce ora d’Annunzio) e, con ugual disinvoltura, si mostra quando Saba riflette sulla lezione dei maestri (è celebre la Scorciatoia che dedica a Leopardi: «letteratura italiana. Potrebbe rimanere, di secoli di noia, un verso: il più bello, il più inutile, il più melanconico, il più perfetto che sia mai stato scritto: “e chiaro nella valle il fiume appare”»).

In ogni caso, Storia e cronistoria rivela la sua inesauribile potenzialità quando Saba parla di se stesso: a fare scuola, in tal senso, è stato un contributo fondamentale per gli studi sul Canzoniere, La gallina di Saba, che gravita proprio intorno alla lirica centrale di Casa e campagna, A mia moglie, indagata da Mario Lavagetto sulla scorta di «piccoli indizi» offerti dall’autocommento sabiano. Anche se Saba non spiega il valore simbolico delle metamorfosi di Lina, a cui la poesia è dedicata («Tu sei come una giovane, / una bianca pollastra», «Tu sei come una lunga / cagna …», «E così nella pecchia / ti ritrovo, ed in tutte / le femmine di tutti / i sereni animali che avvicinano a Dio»), la Cronistoria del Canzoniere può venire in soccorso al critico persino quando Saba appronta, per il commento ai suoi testi, «una segnaletica falsificata o contraddittoria». Lavagetto ricostruiva, a partire dalla chiosa a Mia moglie e da altri luoghi del libro, il carattere sacrale della gallina e la regressione infantile postulata dalla lirica («la gallina fu quasi l’animale sacro di Saba», «se un bambino potesse sposare e scrivere una poesia per sua moglie, sarebbe questa», è detto nella Cronistoria), recuperando così la chiave esegetica di un testo la cui paternità spetta, dopotutto, a un affezionato lettore di Freud quale Saba è stato. Perché il poeta, chiosa Lavagetto, «sapeva benissimo (…) chi sposerebbe un bambino se fosse libero di farlo». Basta affiancare a tale conclusione il pensiero sviluppato da Saba in un saggio del ’46, riportato da un lettore a sua volta estremamente avvertito come Carrai nell’Introduzione, per avere una riprova dell’efficacia dell’analisi: «non è pensabile che il Petrarca avrebbe scritto il suo Canzoniere, se gli fosse potuto arrivare alla coscienza che Laura (o chi per lei) era sua madre».

Lo scrittore irredentista Pier Antonio Quarantotti Gambini, in un saggio inedito inviato al poeta triestino e riprodotto da quest’ultimo nelle pagine conclusive del volume, si chiedeva se sarebbe stato possibile comprendere e valutare Saba «pienamente», riesplicitando così ciò che proprio Saba si era augurato (con scarsa modestia, magari, ma anche con estrema lungimiranza) nella lettera a Vittorio Sereni. Ammetteva infine: «non lo so. Ho l’impressione che Saba, nel nostro tempo, sia stato appena scoperto, e che il valutarlo nella sua intera grandezza debba spettare ad altri, quando la lontananza farà più chiare le prospettive. Saba dovrà attendere; ma quanti oggi in Europa possono, come lui, attendere sicuri?». La riedizione di Storia e cronistoria del Canzoniere rinnova una tale sicurezza.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento