Cultura

Umano, pianta o roccia. Quando l’alterità è da prendere sul serio

Umano, pianta o roccia. Quando l’alterità è da prendere sul serio«Questions to the Yamuna River», di Caretto/Spagna foto di Pratush Lala

ARTE Una intervista agli artisti Andrea Caretto e Raffaella Spagna

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 20 agosto 2024

Nella ricerca artistica di Caretto/Spagna azioni, esperienze, cene, installazioni, raccolte, energie assumono una dimensione collettiva. E il nuovo libro Bright Ecologies. Caretto/Spagna: Experiences, Forms, Materials, a cura di Giorgina Bertolino, Francesca Comisso, Cecilia Guida, Alessandra Pioselli (Viaindustriae, pp. 368, euro 30), è una conferma di questo approccio all’arte, alla vita, al mondo. Esso rappresenta infatti «un punto di arrivo e di partenza, un’occasione preziosa – spiegano gli artisti- per rallentare, fino quasi a fermarci, per ripercorrere insieme oltre venti anni di ricerca. Siamo restii a fissare in una forma definita ciò che per sua natura è destinato a mutare, ma nel radunare, fare ordine, mettere a sistema le tracce di questi anni di lavoro, trame nascoste si rivelano e solo così possono essere condivise. Fare un libro è un modo per condividere».

LA PUBBLICAZIONE è, difatti, frutto della necessità di confronto, di apertura a letture e interpretazioni diverse di una pratica sviluppata nel corso degli anni. «Questa monografia emerge dall’intreccio di relazioni tra noi, il team di curatrici, gli autori, l’editore, persone che ammiriamo e alle quali siamo affezionati, un gruppo di lavoro che ha collaborato in modo organico e fluido, condividendo tutte le fasi del progetto editoriale», così come «ondulato, morbido, liquido» si presenta l’archivio degli artisti che, occupando la parte più corposa del libro, comprende ben cinquantasette lavori.

Di base a Cambiano, in provincia di Torino, Andrea Caretto e Raffaella Spagna costituiscono un solido duo del panorama artistico italiano, collaborando dal 2002. L’uno laureato in Scienze Naturali, l’altra in Architettura, nonostante ambedue muovano da una formazione scientifica, fin da subito hanno approcciato le modalità relazionali e partecipative, condividendo esperienze significative, come Progetto Diogene, con molti artisti attivi tra gli anni Novanta e i Duemila.

NEL CORSO DEL TEMPO la predisposizione all’ascolto e all’incontro non ha solo favorito la nascita di relazioni tra colleghi, ma anche la possibilità di abbracciare molteplici aspetti del fare arte. La ricerca – definita da loro stessi «indisciplinata» – li ha portati a condividere pratiche estetiche con rocce e suoli, acque, paesaggi, manufatti, rifiuti, piante selvatiche e ortaggi, microrganismi, umani e altri animali. «Questo ha dato vita a un lungo percorso di auto-formazione attraverso il quale abbiamo sperimentato modi diversi di stare al mondo e possibilità altre di coabitazione». Alla base del loro agire vi è un approccio ecologico all’arte, ben definito dall’antropologo Tim Ingold nel suo testo in catalogo. In questa visione «l’artista è in effetti, solo una delle forze agenti tra le altre già attive in quel determinato contesto. Questo determina il mettersi in ascolto dell’Altro e, come amiamo ultimamente affermare, prenderlo sul serio, sia esso un altro umano, una pianta o una roccia».

Il concetto di Ecologia è da loro inteso pertanto in maniera totalizzante e profonda e travalica gli ambiti disciplinari. «Tutto è Ecologico – dicono -, le Cose infatti non precedono la relazione, ma emergono dall’intreccio di relazioni, a diversa scala, tra altre cose e vengono in-formate dal campo di forze che agisce in quello specifico luogo e tempo. Dal punto di vista operativo si tratta per noi di aprirci al mondo, provare ad affrontare l’abisso della complessità, nel tentativo di percepire quali siano le forze agenti in un determinato contesto, affinché emergano le possibilità di dare origine a nuove forme attraverso una nostra azione».

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