Cultura

Umanizzare la modernità, una scelta più che obbligata

Umanizzare la modernità, una scelta più che obbligataJason Rhoades, "Four Roads", all'Institute of Contemporary Art di Philadelphia

Scaffale Il libro di Mauro Ceruti e Francesco Bellusci pubblicato da Raffaello Cortina Editore. Le degenerazioni sociali, umanitarie, ambientali che si moltiplicano e aggravano oggi, sono per gli autori la prova che «umanizzare la globalizzazione» non solo sia «una» prospettiva possibile, ma sia per l’umanità «l’unica» prospettiva o quanto meno la sola «capace di futuro»

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 2 novembre 2023

Stride parecchio con il presente l’ultimo libro di Mauro Ceruti, tra principali costruttori con Edgar Morin del pensiero della complessità, scritto con Francesco Bellusci. Stride già dal titolo: Umanizzare la modernità (Raffaello Cortina, pp. 144, euro 14). Stride nell’ambizione che lo ispira e lo nutre: ragionare sulle coordinate possibili di un cammino dell’umanità che dia senso e speranza alla parola «progresso». Arriva, la riflessione di Ceruti e Bellusci, nel mezzo di giorni, mesi, anni nei quali è difficile pensare in termini di progresso.

Sono i giorni dell’assalto terrorista di Hamas contro Israele e della reazione israeliana che sta trasformando la striscia di Gaza con i suoi 2 milioni e più di abitanti da prigione a cielo aperto in un immenso cimitero. Sono i mesi della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, che sembra destinata a durare molto a lungo. Sono gli anni in cui la crisi climatica sta diventando da minaccia realtà, colpendo già oggi la sicurezza e il benessere di persone e popoli – per primi i più fragili – e ponendo una fosca ipoteca sul destino prossimo di tutti noi contemporanei e soprattutto dei più giovani.

MA PROPRIO le degenerazioni – sociali, umanitarie, ambientali – che si moltiplicano e aggravano oggi, sono per gli autori la prova che «umanizzare la globalizzazione» non solo sia «una» prospettiva possibile, ma sia per l’umanità «l’unica» prospettiva o quanto meno la sola «capace di futuro». Scrivono Ceruti e Bellusci che occorre modificare il modo di comprendere la realtà d’impronta razionalista che vede «l’uomo scisso tra anima e corpo, tra ragione e affetti».

Questo paradigma impedisce di vedere la complessità che caratterizza la condizione umana e sociale odierna. «La complessità – sottolineano – è il mezzo necessario per concepire il fondamentale, l’emergente, l’ambiguo, l’inatteso, l’individuo, l’essere, la novità». Viviamo in un mondo in cui l’uomo dispone di una ricchezza di opportunità pratiche e tecniche senza precedenti né paragoni, solo un pensiero «complesso» può consentire di mettere questa sovrabbondanza di tecnica al servizio del futuro dell’umanità: appunto, di umanizzare la modernità. Al centro di questo scenario inedito è, per Ceruti e Bellusci, la nozione di Antropocene, che annulla la frattura – eredità del pensiero razionalista – tra natura e cultura, tra storia umana e storia della vita e della Terra.

LA PAROLA ANTROPOCENE fu coniata 20 anni fa da due scienziati, il chimico olandese Paul Crutzen e il biologo americano Eugene Stoermer, a indicare la fase attuale della storia della Terra contraddistinta da un debordante, e decisamente disturbante, dominio degli umani sulla natura. Proprio la realtà dell’Antropocene deve spingere l’uomo, nel proprio interesse di specie, a pensarsi come intimamente connesso, interdipendente, con il naturale, a sviluppare quello che Ceruti e Bellusci chiamano un «umanesimo planetario», vale a dire. «l’uscita da una concezione insulare dell’uomo, isolato dalla natura e dalla propria natura».

Ancora, l’umanesimo planetario impone un cambiamento radicale nel modo di concepire le relazioni all’interno della specie umana: «La crisi ecologica – così Ceruti e Bellusci – non ci pone di fronte al dilemma tra un modello politico o un altro, ma di fronte al bivio tra un salto antropologico o il collasso». Per questo «il nostro tempo non ha bisogno di rivoluzioni, ma di un cambiamento del paradigma di pensiero e di civiltà». Le rivoluzioni, come le guerre, appartengono al modello dei «giochi a somma nulla», fondati sulla «strumentalizzazione del rapporto con gli altri, tra i popoli, con la natura».

Il libro si chiude con un’invocazione quasi ottimistica: «L’umanità, oggi, per la prima volta nella sua storia, “è obbligata” a uscire dal paradigma dei “giochi a somma nulla” per generare un paradigma dei “giochi a somma positiva”». «Obbligata» perché fuori da questa scelta rimane soltanto un’altra via: l’autoannientamento.

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