Umani in cerca di autore
Paleoantropologia «Mio caro Neandertal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli» di Silvana Condemi, paleoantropologa e direttrice di ricerca al Cnrs di Aix-Marseille, insieme al giornalista scientifico François Savatier, per Bollati Boringhieri. Un indizio: negli stessi anni in cui, nelle terre occupate dai Neandertal, arriviamo noi, Homo sapiens, i primi scompaiono
Paleoantropologia «Mio caro Neandertal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli» di Silvana Condemi, paleoantropologa e direttrice di ricerca al Cnrs di Aix-Marseille, insieme al giornalista scientifico François Savatier, per Bollati Boringhieri. Un indizio: negli stessi anni in cui, nelle terre occupate dai Neandertal, arriviamo noi, Homo sapiens, i primi scompaiono
Secondo gli antropologi William Straus e Alexander Cave, se un uomo di Neandertal salisse in metropolitana sbarbato e ben vestito nessuno lo noterebbe tra gli altri passeggeri. Lo affermarono al simposio che nel 1957 festeggiava il centenario del primo ritrovamento, nella valle di Neander, del primo scheletro di una nuova specie umana. Da allora, diversi altri fossili di Homo neanderthalensis (il nome scientifico di Neandertal) hanno aiutato a capire qualcosa sulla prima popolazione umana che popolò l’Europa tra i trecentomila e i quarantamila anni fa. Tra gli autori delle principali scoperte sui Neandertal c’è Silvana Condemi, paleoantropologa e direttrice di ricerca al Cnrs di Aix-Marseille, che insieme al giornalista scientifico François Savatier ha da poco pubblicato Mio caro Neandertal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli (Bollati Boringhieri, pp. 211, euro 24, traduzione di Susanna Bourlot).
GRAZIE ALLE RICERCHE di Condemi e dei suoi colleghi, ormai di Neandertal conosciamo molto: l’aspetto fisico, la dieta, persino il Dna. Sappiamo, ad esempio, che non è un progenitore dell’uomo moderno. Sapiens e Neandertal si sono sviluppati parallelamente, in Africa e in Europa, da un predecessore comune. Un fratello, dunque, non un antenato. Ma non riusciamo ancora a rispondere a una domanda: che fine ha fatto Neandertal? Il mistero riguarda un periodo molto breve, poche migliaia di anni in cui i Neandertal sparirono di circolazione. Un indizio c’è: sono gli stessi anni in cui, nelle terre occupate dai Neandertal, arriviamo noi, Homo sapiens. Allora fu tutta colpa nostra?
IN REALTÀ, TRACCE DI CONFLITTO diretto tra Homo sapiens e Neandertal non sono mai state trovate. La popolazione Neandertal era limitata: al massimo, 70mila individui, divisi in qualche migliaio di clan sul territorio europeo. Se ci fosse stata una guerra, la scomparsa sarebbe stata ancora più rapida. È probabile, però, che l’arrivo di Homo sapiens in Europa abbia cambiato parecchio gli equilibri ecologici. Le due specie umane occupavano la stessa nicchia ecologica e Homo sapiens potrebbe essersi rivelato semplicemente più bravo nello sfruttarne le risorse.
Ma in cosa, esattamente, Homo sapiens fosse più bravo di Neandertal non è chiaro. Dal punto di vista della prestanza fisica, anzi, Neandertal assomigliava un po’ a un super-eroe rispetto ai primi sapiens arrivati dai climi caldi dell’africa. Superare tre glaciazioni, com’è accaduto ai Neandertal e ai suoi progenitori europei, non era stato uno scherzo.
FISICAMENTE TARCHIATO, Neandertal era in grado di attaccare pachidermi grazie a muscoli possenti nutriti da una dieta iperproteica.
Anche dal punto di vista intellettivo, tra i Neandertal e i sapiens appena arrivati in Europa non c’era grande differenza. Il cervello neandertaliano era grande come il nostro. Molti ricercatori, però, pensano che dimensione cerebrale e intelligenza non siano così legate tra loro. Ci sono altri indizi dell’intelligenza dei Neandertal: il linguaggio, ad esempio.
Tra un clan e l’altro, composti ciascuno poche unità di individui, c’erano in media cento chilometri di distanza. Eppure, le stesse innovazioni tecnologiche sono state trovate in luoghi molto lontani tra loro. Neandertal aveva probabilmente sviluppato un linguaggio simbolico che gli permetteva di far circolare le informazioni su come realizzare utensili e ornamenti a grande distanza.
Anche sul piano dell’organizzazione sociale Neandertal aveva maturato una complessità analoga a quella sapiens. Lo testimoniano ritrovamenti come quello di un Neandertal messo malissimo: zoppo, monco, sordo, orbo da un occhio per colpa di ferite e malattie. Eppure, si stima che sia morto a un’età avanzata (per l’epoca) compresa tra i quaranta e i cinquant’anni. Altri fossili – anche quello primario della valle di Neander – mostrano caratteristiche simili. Il fatto che individui in gravi condizioni riuscissero a sopravvivere fino alla vecchiaia è la prova, secondo gli scienziati, che il clan neandertaliano garantiva solidarietà anche ai suoi membri più svantaggiati, una sorta di «stato sociale» preistorico.
Sapiens aveva però un alleato: il lupo addomesticato, o cane. Non ci sono prove dirette che questo facesse la differenza, ma gli studi sui cacciatori-raccoglitori odierni dimostra che un clan che caccia con l’assistenza di un cane riesce a rimediare un bottino del 40% più grande. Ma è una possibilità.
L’IPOTESI PIÙ SUGGESTIVA, invece, è quella secondo cui Neandertal sopravviva nascosto tra noi, annidato nel nostro Dna. Le popolazioni europee possiedono una frazione sensibile (circa il 4%) di geni provenienti dai Neandertal. Piuttosto che farsi la guerra, Neandertal e sapiens preferivano fare l’amore e dar vita a una progenie ibrida (noi). L’ipotesi che Homo sapiens abbia gradualmente assorbito la popolazione neandertaliana è rafforzata dai ritrovamenti di scheletri fossili delle due specie nelle stesse zone. In particolare, gli scavi in Siria e Israele mostrano che circa centomila anni fa Neandertal e sapiens si devono essere incontrati da quelle parti.
In poche migliaia di anni, una specie in equilibrio con il suo habitat per centinaia di migliaia di anni fu sostituita da un’altra con la perniciosa tendenza alla crescita indefinita. Ora che sul baratro ci siamo noi, è una lezione da studiare con attenzione.
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