Editoriale

Umani a metà non si può

Umani a metà non si può

Decreti sicurezza È possibile de-criminalizzare una questione epocale riconoscendo la legittimità del soccorso umanitario e poi, allo stesso tempo riassoggettarla a principi che riconsegnano ogni intervento a Paesi insicuri e criminali? No, non si può

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 9 ottobre 2020

Ma è possibile aprirsi all’accoglienza e nello stesso tempo consolidare il principio di respingimento? È possibile de-criminalizzare una questione epocale riconoscendo la legittimità del soccorso umanitario e poi, allo stesso tempo riassoggettarla a principi che riconsegnano ogni intervento a Paesi insicuri e criminali?

In assoluto non si può. Soprattutto se parliamo di esseri umani, i migranti in fuga da guerre distruttive di ogni tessuto civile che troppo spesso abbiamo contribuito ad innescare perfino con la nostra diretta partecipazione armata, e dalla miseria di aree del mondo dove la nostra economia di rapina continua a produrre danni irreparabili. L’ambiguità, le ambiguità, che vogliamo sottolineare, riguardano i nuovi decreti del nuovo governo che formalmente, ed era ora, cancellano i Decreti decisi da Salvini che nel governo precedente, sempre a guida del presidente Conte e nella coalizione con i 5s, di fatto assumeva la categoria del migrante e del profugo come fenomeno criminale da combattere.

È giusto riconoscere che l’impianto del nuovo provvedimento capovolge quella impostazione ma, ahimé, non abbastanza. Entrando in una sorta di conflitto intestino che la realtà purtroppo renderà evidente. Ci si chiede allora: se finalmente torna il diritto-dovere all’accoglienza e la protezione umanitaria con nuove istituzioni diffuse che la possono garantire come i Sai, che accadrà con la “verifica” ancora una volta frettolosa su chi ha veramente bisogno dell’asilo e chi no?

Come sarà possibile istituire una ulteriore discriminazione tra profughi e migranti economici quando, ormai è chiaro a tutti, che nel corpo vivo dei disperati che fuggono, le due condizioni sono la stessa cosa? Per capirlo, consigliamo di affiggere nei centri di verifica una cartografia – va di moda tra i giornalisti – che contrassegni le zone del mondo devastate dalle nostre guerre e dove continua lo sfruttamento di rapine delle risorse energetiche umane con relativa nostra corruzione dei regimi in carica.

Così basterà leggere per i conflitti armati ai quali l’Occidente ha partecipato, Afghanistan, Libia, Siria, Africa del Sahel; e per le rapine energetiche consigliamo di vedere la ricca ma poverissima Africa, appena dall’altra parte del Mediterraneo, mentre per la rapina delle risorse umane il lavoro sottopagato nell’area asiatica (il Bangladesh, da dove fuggono in tanti, e non solo) che vede in nostri investimenti «alla moda». Da tutti quei posti è giusto fuggire e ci riguarda. Noi siamo corresponsabili della sorte di tutti questi umani, dovremmo non solo soccorrere ma riparare ai danni fatti. Una politica sui migranti non può più nascondere il tema della irresponsabilità della politica estera.

Dicevamo della Libia che, incredibile a dirsi, resta il luogo dove, a richiesta della «autorità competenti», le Ong del soccorso a mare, la flotta umanitaria – stavolta riconosciuta e legittimata dai nuovi decreti – dovrebbero però riportare, nel conflitto di competenze, come più volte si è riproposto anche in modo violento con le autorità locali e sulle acque territoriali, gli sventurati in fuga da quelle galere, torture, uccisioni e nuova guerra in corso. Le milizie libiche restano e resteranno interlocutrici delle conseguenze dell’essere «umani a metà»

Con i nuovi decreti ci troviamo di fronte ad un compromesso importante, condizionato positivamente dalla consapevolezza che non c’è ora – ma non c’è mai stata – nessuna «invasione»: gli ultimi dati del governo dicono che dall’inizio dell’anno sono approdate in Italia 24.332 persone; mentre il «beccaporto» Matteo Salvini, leader di un partito come la Lega che ha frodato milioni allo Stato, grida alla «mangiatoia».

Sul compromesso aleggia però l’ombra dell’ex ministro renziano Minniti che per salvare la democrazia in italia la cancellava nel Mediterraneo, assegnando alle milizie libiche, ben pagate, il compito di «gestire», vale a dire fermare ad ogni costo, anche con la violenza, le partenze verso i nostri porti.

Il nodo irrisolto resta quello della esternalizzazione delle frontiere dell’Unione europea per contenere i migranti. Se Ursula von der Leyen dichiara, nei due discorsi programmatici che ha fatto di recente, che le due cose fondamentali sono il rafforzamento delle frontiere esterne dell’Europa (Libia, Sahel e Turchia) e il rigore su chi ha diritto a chiedere asilo e chi no, ecco che i provvedimenti italiani rischiano di apparire come prima applicazione di queste priorità. Anche se presentano novità importanti che giustamente diventano da subito terreno di pratica e di lotta.

Mentre la promessa di una revisione degli accordi di Dublino, non trova risposta, anzi vede un fronte ampio di Paesi europei contrari, e la promessaresta: alla vista non c’è nessuna obbligatorietà alla redistribuzione dei migranti in tutto il Vecchio Continente. Per una leadership europea sempre più attenta ai nodi politici irrisolti, aggravati dalla pandemia, incancreniti dai populismi razzisti che soffiano sul fumo del consenso politico. Insomma: rafforzare le frontiere esterne vuol dire che i migranti, ora ri-accolti e non più criminalizzati, vanno fermati, alla fonte e in uscita, nei «paesi sicuri» che si chiamano Libia e Turchia.

Siamo ben lontani dalla proposta avanzata su questo giornale da Sandro Mezzadra di un utilizzo anche del Recovery fund per affrontare, non più in modo provvisorio ma strutturale, il dramma epocale dei migranti. Quella è l’unica possibilità di restare umani.

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