Mercoledì 26 luglio è stata un’altra giornata campale nello scontro tra gli organi europei e i paesi di Visegrad sulla questione delle quote per il ricollocamento dei rifugiati.

Nella mattinata è stato pubblicato il parere dell’avvocato generale dell’Unione europea, Yves Bot, che ha consigliato alla Corte di Giustizia dell’Ue di rigettare il ricorso contro il meccanismo di ricollocamento dei migranti presentato dalla Slovacchia e dall’Ungheria.

Secondo l’avvocato generale, che ha un ruolo di consigliere indipendente con un parere non vincolante, il meccanismo rispetta i principi di proporzionalità e solidarietà fissati dai trattati europei. Secondo l’avvocato, anche il rilievo procedurale mosso dai due paesi non sarebbe suffragato da nessuna norma europea. Viene quindi confermato che l’adozione del meccanismo a maggioranza qualificata e senza la ratifica dei singoli Parlamenti europei sia stata corretta da punto di vista del diritto comunitario.

Adesso si attende il verdetto finale della Corte, che molto probabilmente riprenderà molte delle conclusioni, a cui è arrivato l’avvocato generale. Alla Corte di Giustizia rischia di finire anche la questione sulle sanzione per l’inadempienza nel ricollocamento dei rifugiati presenti in Italia e Grecia da parte della Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca.

Dopo un primo scambio di punti di vista tra la Commissione europea e i tre paesi finiti sotto accusa, Bruxelles ha mandato un sollecito scritto, affinché i tre governi presentino entro un mese delle misure per rimediare alla loro inadempienza.

Finora tramite le quote è stato ridistribuito solo un quinto delle persone previste, ma Polonia, Repubblica Ceca e l’Ungheria hanno accolto meno dell’un percento dei migranti previsti. I tre paesi sostengono che risultati così bassi sono colpa dell’inefficienza della procedura di ricollocamento ( relocation)e della scarsa collaborazione degli uffici in Grecia e, soprattutto, in Italia. Per ora non sembra che la Commissione voglia calcare troppo la mano e in extremis Bruxelles potrebbe accontentarsi solo di un cambio di retorica.

«C’è ancora tempo per rimediare – ha dichiarato il vicepresidente della Commissione Dimitris Avramopoulos – Mi spiace che siamo arrivati a questo punto e spero che in quest’ultima fase prevalga la ragione». Tuttavia i governi dei tre paesi non sembrano voler fare marcia indietro rischiando in questo modo un esposto da parte della Commissione alla Corte di Giustizia.

Se sul sistema delle quote permangono delle forti divisioni, i paesi di Visegrad sono allineati sulla politica dell’Ue, che prevede il blocco delle partenze dalla Libia e dagli altri stati della sponda Sud del Mediterraneo. Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca sono pronte a sostenere le missioni europee sul continente africano.

Lunedì scorso il governo ceco ha dato il via libera a un secondo stanziamento di circa un milione di euro per la Guardia costiera libica. Il governo ceco ha rivendicato il fatto di essere il contribuente più importante alla missione Sophia Eunavfor – che secondo le indiscrezioni raccolte da Der Spiegel continuerà fino a fine del 2018 e allargherà il proprio mandato anti-tratta anche in acque libiche – , nel cui ambito viene erogato «l’aiuto» ai libici.

«A differenza delle navi europee la Guardia costiera libica può respingere sul territorio libico i migranti fermati in mare. Perciò, a nostro parere, il sostegno alla Guardia costiera libica è la misura più efficiente per abbassare la pressione della migrazione clandestina sull’Italia», ha ribattuto il premier socialdemocratico Bohuslav Sobotka, che ha rivendicato il supporto ai libici come «una nostra iniziativa». Per Praga bisogna essere solidali con i torturatori piuttosto che con gli ultimi della terra.