Yuliya Yurchenko è docente all’University of Greenwich in International Business and Economics. Nel 2018 ha pubblicato con Pluto Press Ukraine and the Empire of Capital, una interpretazione in chiave marxista e gramsciana della crisi ucraina.

Zelensky cercherà di unificare la classe capitalista ucraina e Putin creandone una «verticale»?
Ne dubito. Gli oligarchi non lo accetterebbero, già conquistare la maggioranza parlamentare per Zelensky sarà un problema. Sono già in corso dei tentativi del parlamento di limitare i poteri presidenziali. Sarà interessante vedere come opererà inoltre la fitta rete che Putin ha costruito con acume attraverso le forze dell’intelligence e della sicurezza, se accetterà Zelensky al potere. Zelensky è un outsider che avrà difficoltà a combattere un sistema di relazioni profondamente intrecciate. Anche se attaccasse il parlamento e chiedesse elezioni anticipate, i nuovi partiti a lui collegati non otterrebbero abbastanza deputati per per controllare il parlamento. I politici dei «vecchi» partiti ora strategicamente si stanno spostando verso Zelensky, ma solo a garanzia della propria rielezione in autunno. Zelensky è condizionato dalle sue stesse promesse elettorali come la decentralizzazione del potere e la riduzione al minimo del ruolo dello Stato, non solo in economia. Questo non vuol dire che tali promesse siano di per sé un ostacolo o che i candidati non le violino, ci sono molti di questi esempi nella storia delle democrazie. Tuttavia dobbiamo tenere conto del contesto ucraino. L’abuso della fiducia dell’opinione pubblica lo abbiamo già visto ai tempi della «rivoluzione arancione» e della Maidan. Se Zelensky dovesse far saltare il compromesso sociale proposto in campagna elettorale che gli ha garantito la vittoria molto probabilmente assisteremo a nuove proteste di massa, perfino violente che potrebbero spingerlo alle dimissioni o alla repressione.

È possibile un allargamento del Formato Normandia agli Usa?
In teoria è possibile, ma non sono convinta che funzionerà. La Russia non sarà certamente soddisfatta di tale sviluppo e senza il coinvolgimento russo i negoziati sono condannati al fallimento. Le repubbliche popolari del Donbass sono dei fantocci della Russia anche se hanno mostrato una certa autonomia negli ultimi anni. Putin ha rifiutato di congratularsi per l’elezione con Zelensky, mostrando quale livello di freddezza diplomatica abbia nei suoi confronti. Putin intende dimostrare chi comanda.

Zelensky intende sviluppare una «guerra dell’informazione» sul Donbass. È una forma di lotta gramsciana per l’egemonia?
In qualche misura è una strategia gramsciana: Zelensky intende rimodellare la coscienza attraverso una rivoluzione passiva, cioè riempire lo spazio mediatico con narrazioni alternative volte ad avvicinare la gente e farla finita con una retorica divisiva. Penso che sia una buona strategia, ma dovrà essere sostenuta da politiche sociali ed economiche. Dovrà rassicurare la popolazione del Donbass e garantirle passi concreti e non solo chiacchiere: ristabilire relazioni economiche, per esempio. Ciò renderebbe tale politica veramente gramsciana poiché la guerra dell’informazioni da sola ha solo un significato postmoderno, laddove si ritiene che il cambiamento delle narrazioni in qualche modo cambino le realtà materiali. Ma così non è. Si dovrebbero costruire spazi per il dialogo. Sostenere il dialogo e lo sviluppo delle relazioni tra Ucraina e Donbass lavorando insieme e accettando dei compromessi. La guerra dell’informazione dovrebbe essere solo un inizio del processo e non una fine, inviando nel Donbass un messaggio positivo, un mutamento di approccio.

Ha scritto che esiste una dipendenza degli oligarchi ucraini dalle istituzioni mondiali del capitale. È possibile immaginare un’Ucraina libera, senza uno spostamento a sinistra di tutto il continente europeo?
Nella situazione attuale è difficile immaginare un’Ucraina indipendente. L’Ucraina è un paese dipendente dal debito, la cui economia ha subito duri colpi durante la crisi del 2007-8 e il conflitto armato iniziato nel 2014. Ciò la rende vulnerabile e condizionabile. Senza uno spostamento a sinistra nell’approccio delle istituzioni finanziarie internazionali e/o dell’Europa, è difficile immaginare un processo decisionale indipendente. Un’opzione interessante sarebbe la cancellazione del debito, ma non credo avverrà: il Fmi non favorisce tali soluzioni. Oggi l’indipendenza dell’Ucraina esiste più sulla carta che nella realtà. E ciò paralizza anche le piattaforme e le narrazioni politiche alternative alla deriva neoliberale e alle compatibilità con il capitale.