A Pasqua le app di Uber Black saranno attive e le sue automobili potranno girare a Roma e Milano. L’esposto della multinazionale americana contro l’ordinanza che aveva imposto il blocco del servizio lo scorso 7 aprile è stato accolto dal Tribunale di Roma.

Il nuovo round dello scontro con i tassisti andrà in scena il 5 maggio, quando è prevista l’udienza per l’appello contro l’esposto delle associazioni di categoria per «concorrenza sleale». Fino alla pronuncia definitiva, il campione del capitalismo di piattaforma potrà usare la contestata app, ma dovrà confrontarsi con le richieste dei giudici che chiedono di usare la «nuova» tecnologia «in modo rispettoso» delle normative «pubbliche» permettendo agli utenti di rintracciare «la rimessa di noleggio con conducente più vicina», invece di lasciarlo fare «al singolo autista». Pena la scomparsa dei suoi servizi dall’Italia.

Le ragioni dei giudici, non contrari alle piattaforme digitali, sono state ignorate dal 7 aprile, giorno dell’ordinanza, a oggi. La polemica si è concentrata sulla difesa della presunta vocazione «dirompente» di Uber contro il «monopolio» dei tassisti sul trasporto pubblico non di linea, e in particolare sul settore di riferimento del servizio Uber Black: il noleggio con conducente (Ncc).

In questo segmento di mercato Uber Italia impiegherebbe circa mille gli autisti che rispondono a 80mila richieste. Il ricorso dei tassisti è basato sulla contestata legge 21 in vigore dal 1992 e modificata nel 2008, quella che distingue l’attività di Ncc e i taxi bianchi. A febbraio un emendamento Lanzillotta al Milleproroghe aveva aperto questo mercato alla app «Uber Black» provocando lo sciopero delle associazioni e dei sindacati dei tassisti e degli Ncc. L’emendamento eliminava l’obbligo di rientro delle berline nelle rimesse alla fine della corsa e permetteva di rispondere in strada alle nuove chiamate dei clienti. Uber si sarebbe trovata ad esercitare le funzioni dei tassisti.

Al termine di una tumultuosa giornata di sciopero, il ministro dei trasporti Del Rio si era impegnato a trovare una soluzione entro un mese. Soluzione che non è ancora arrivata, mentre sul lato giudiziario continua lo scontro in mancanza di un nuovo quadro normativo. Il presidente della commissione Bilancio della camera Francesco Boccia ha posto un altro problema: «Finché Uber non pagherà le tasse in Italia non sarà mai un interlocutore credibile – sostiene – Ora potranno continuare a fornire i propri servizi, a fare profitti in Italia e continueranno indisturbati a eludere il fisco. La politica deve trovare un rimedio, non vedo perché Uber non debba pagare le imposte come le altre aziende».

Va registrato uno scontro tra le associazioni dei consumatori e i sindacati dei tassisti.

«Grazie a tale decisione – sostiene il Codacons – gli utenti potranno beneficiare dei servizi, di maggiore concorrenza e più scelta. Il governo vari le norme». «Quella del Codacons è diventata una battaglia ideologica contro i tassisti, il sistema costituzionale e il giuslavorismo moderno – sostiene Loreno Bittarelli (Unione radiotaxi italiani) – Sta associando il proprio nome a chi sfrutta il lavoro dei driver per 5,88 sterline orarie lorde a Londra».

«Uber si pone indebitamente come intermediatore tra la domanda e l’offerta di un pubblico servizio e distorce il negozio giuridico – sostiene Nicola Di Giacobbe (Unica Cgil taxi) – il consumatore paga più del dovuto, il prestatore d’opera (lavoratore) si vede prelevare una tassa da un soggetto non autorizzato. È un nuovo caporalato tecnologico».