Ubaldo Fadini, conversazioni aperte sulla metamorfosi dell’essere umano
Scaffale Un percorso in più libri scritti di recente dal filosofo Ubaldo Fadini: un appello a sperimentare la vita non riconciliata e inattesa
Scaffale Un percorso in più libri scritti di recente dal filosofo Ubaldo Fadini: un appello a sperimentare la vita non riconciliata e inattesa
Ubaldo Fadini è un sismografo che registra spiazzamenti e sorprese, cambiamenti delle abitudini e delle pratiche di vita. Negli ultimi mesi ha pubblicato Fogli di via, ai margini dell’antropologia filosofica (Clinamen, p. 97, euro 10,80) e Il senso inatteso. Pensiero e pratiche degli affetti (ombre corte, pp. 138, euro 13) a cui ha aggiunto la ristampa delle conversazioni sulle «metamorfosi dell’umano» tra Theodor Adorno e Elias Canetti, e tra Arnold Gehlen e Adorno con un titolo prezioso: Desiderio di vita (Mimesis, pp.110, euro 12). Sono libri composti da saggi interconnessi che sviluppano una critica filosofica definita «geografia delle relazioni», un «pensare con» gli autori come Gilles Deleuze e Michel Foucault. Questo intreccio di culture filosofiche francesi e tedesche, spesso considerate in contrapposizione, almeno in Italia, rendono interessante questa arte del saggio.
FADINI È ALLA RICERCA di una potenzialità incarnata nell’essere umano. È un concetto importante, quello di «potenza», perché rende manifesta una condizione storica immanente non predeterminata, ma aperta a nuovi divenire. Ne Il senso inatteso Fadini spiega questa figura con Robert Musil nelle cui opere emerge un «uomo delle possibilità», colui che «erra» nel mondo, e si sporge sempre «in avanti». In più, questo «uomo» è ironico, cosciente della rozzezza e delle bassezze, non subisce la sua stupidità, ma la usa mentre apprende e cambia. Così facendo si preserva dal suo essere «carente» e si predispone alla metamorfosi. Per questo la vita si dà nell’incontro con qualcuno, qualcosa, un evento.
È APERTA SUL «FUORI», non è fissata a difesa del fortino dell’Io. In questo disequilibrio, che produce angoscia, paure e istanze immunitarie, Fadini vede il lato della possibilità, non quello dell’annientamento e arriva così a una definizione materialistica del concetto di «uomo», molto distante dal pessimismo antropologico, il nichilismo e la filosofia del pauperismo oggi dominanti.
IL PERNO DI QUESTA VISIONE è una teoria dell’azione basata su una disposizione sperimentale e sul primato dell’ipotetico, sulla «precisione meccanica» e l’«imprecisione vitale» coniugati per dare respiro al desiderio di un avvenire, materialmente accessibile a partire dall’individuazione di ciascuno. Fadini mette questa tesi alla prova del capitalismo nella sua stagione digitale che ha messo in produzione direttamente la forza lavoro, la sua potenza di creare ogni valore d’uso. Basta un telefono, una piattaforma, un videogame: la forza lavoro produce per i signori del Silicio immense quantità di dati che vengono raccolti, profilati, resi intelligenti e rivenduti a terzi. Per poi essere usati nella pubblicità, nell’industria delle assicurazioni o dagli imprenditori della salute o nell’industria militare.
DI SOLITO SI PENSA che «noi siamo diventati la merce». Non è così. È la forza lavoro a essere mezzo di produzione tramite piattaforme, diventa una merce al termine di un processo di cui è sia l’oggetto che il soggetto. Chi lo ha capito meglio sono i capitalisti, non coloro che si auto-sfruttano. Il filosofo risponde che il rovesciamento è possibile. La vita non è destinata a restare prigioniera dell’astrazione, altrimenti rischierebbe di cancellare «l’ultima traccia emozionale», riducendosi all’«assoluta tautologia del pensiero» ha scritto Adorno in Minima Moralia. La vita si rinnova grazie al processo di liberazione dell’immaginazione e alla consapevolezza dei meccanismi che la sfruttano.
L’AUTORE RICORDA che questo connubio è possibile perché nell’essere umano intravvede un’eccedenza rispetto alla misura, quantità o dato ai quali il capitale lo vuole ridurre. Nel capitalismo delle piattaforme la vita non è riducibile a un avatar digitale. Questa identità non esaurisce la sua potenza. Anzi, è proprio in virtù del fatto che è irriducibile a una misura che il meccanismo di estrazione del valore approntato dai padroni degli algoritmi può funzionare all’infinito. La critica dell’economia politica del capitalismo restituisce «la parzialità dell’automatismo» a cui ci inducono le tecnologie digitali e permette di concepire la possibilità che esista un altro uso della vita, e delle tecnologie, diversi dall’auto-asservimento fonte di risentimento.
FADINI CONSIDERA la parzialità politica di questa condizione, la storicità e la sua reversibilità. L’accesso al mondo si può dare diversamente da un processo di addestramento come gorilla da tastiera. Una posizione non scontata, considerata l’epoca reazionaria che celebra da trent’anni la fine della storia. Quello di Fadini è un richiamo spinozista alla conoscenza e alla liberazione, un appello a sperimentare la vita non riconciliata e inattesa, l’invito a dispiegare la potenza a partire ciò che è incarnato in questo nostro corpo.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento