Tv, politica piglia tutto. 10 milioni davanti a Tg1 e Tg5
L’Unità d’Italia più che Cavour e Garibaldi, l’hanno fatta Mike Bongiorno e il telegiornale. Bongiorno non c’è più ma il tiggì, nonostante gli anni, resta ancora uno dei programmi di […]
L’Unità d’Italia più che Cavour e Garibaldi, l’hanno fatta Mike Bongiorno e il telegiornale. Bongiorno non c’è più ma il tiggì, nonostante gli anni, resta ancora uno dei programmi di […]
L’Unità d’Italia più che Cavour e Garibaldi, l’hanno fatta Mike Bongiorno e il telegiornale. Bongiorno non c’è più ma il tiggì, nonostante gli anni, resta ancora uno dei programmi di riferimento dello Stivale. Lo dicono i numeri degli ascolti.
Nell’ultima settimana i due principali telegiornali, il Tg1 e il Tg5, hanno raccolto alle 20 di sera tra i 10 e gli 11 milioni di telespettatori e quasi uno su due tra i cittadini che a quell’ora guardano la tv.
Sono numeri da Nazionale di calcio, insieme a quelli delle fiction nazional-popolari, gli unici a resistere alla frammentazione mediale della società digitale. Nonostante quest’ultima, infatti, i telegiornali ( e la tv) sono ancora la fonte primaria di informazioni per il cittadino italiano.
Guardare che cosa passa in questi tiggì, che cosa raccontano, ci può dire qualcosa sulla rappresentazione del mondo che da questi programmi promana ad una quota importante di paese.
Ad esempio a leggere le rilevazioni dell’Agcom dello scorso dicembre ci accorgiamo che nei telegiornali di Rai e Mediaset quasi il 90% del tempo di antenna è stato dedicato alla politica nelle sue varie declinazioni: partiti, soggetti costituzionali (che è la fetta di gran lunga preponderante), poi amministrazioni locali e unione europea.
Tutto il resto semplicemente non esiste: giustizia, associazioni, sindacati, finanza, economia, professioni, informazione, cultura, spettacolo, sport, forze armate, gente comune raccolgono poco più del 10% in Rai, poco meno in Mediaset.
Aggiungiamo che in questa risicatissima percentuale c’è il Vaticano e risalterà drammatica la marginalità della società civile rispetto a quella politica nella rappresentazione tele-giornalistica. E’ una distorsione temporanea frutto della stagione politica? Tutt’altro. Come abbiamo già avuto modo di osservare in passato, l’ipertrofia politica nei tiggì è sempre stata una caratteristica nel nostro paese, che però adesso si è fatta gravemente patologica.
Alla metà degli anni ’70 la «politica» occupava quasi la metà dei telegiornali (Tg1 e Tg2). Allo stesso tempo un buon 40% delle notizie non riguardava eventi, ma «discorsi», valutazioni, asserzioni. Nei decenni successivi le cose sono peggiorate e si è via via rafforzata la primazia della politica nell’informazione fino ad arrivare negli anni duemila all’occupazione quasi totalizzante.
A gennaio dell’anno scorso la politica (cioè partiti, organi costituzionali, amministrazioni locali, Ue) copriva quasi l’80% del tempo di antenna, e su questi livelli è rimasta nel resto del 2016, fino all’impennata di dicembre scorso. Ed è cresciuta negli anni pure la quota dei «discorsi» e del «dire», insomma delle esternazioni rispetto alle azioni: le prime, che nel 1977 ( da una ricerca dell’Osservatorio di Pavia) rappresentavano il 43% delle notizie, nel 2007 erano salite alla cifra monstre del 76%. Una volta il giornalismo serio doveva narrare i fatti separati dalle opinioni, oggi abbiamo tante, innumerevoli, opinioni separate dai fatti, questi sempre di meno, e più marginali.
Un concetto di pluralismo travisato, applicato com’è al solo livello sistema politico, cancella quello sociale e lo penalizza fino ad annullarlo. Una torsione che contribuisce non poco, ci sembra, alle fortune di quella che uno storico come Emilio Gentile ha definito di recente la «democrazia recitativa». Una messa in scena che i nostri tiggì rischiano di legittimare ulteriormente e che non risparmia nemmeno le televisioni ultime arrivate, come La 7 e Sky.
Ce n’è abbastanza per porsi qualche domanda. Cosa accade negli altri paesi?
Sempre l’Osservatorio di Pavia (ricerca del 2008) ci dice che in Francia, Germania e Gran Bretagna le cose vanno diversamente, la politica se ne sta al suo posto con percentuali quasi dimezzate rispetto a quelle italiane. Questo modello informativo è solo televisivo? No, la centralità della politica è un tratto storico del giornalismo italico, ma il video ha amplificato questa caratteristica fino ad un punto di rottura.
Pesa questa razione quotidiana abnorme di politica con il rifiuto, la sfiducia, la disaffezione? Sarebbe interessante che qualcuno lo studiasse.
Quel che è certo, però, è che la sovra-rappresentazione della politica coniugata alla mancata autonomia della tv (pubblica e privata), diventa un mix esiziale per l’informazione.
La democrazia è in crisi, l’informazione è malata: ma non è detto che tra le due cose non ci sia un rapporto.
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