Cultura

Tutto quello che si sentono dire le scrittrici nere

Tutto quello che si sentono dire le scrittrici nereLa scrittrice Jesmyn Ward

Express La cultura che fa il giro del mondo

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 11 giugno 2020

Non (ancora) tradotta in italiano, LL McKinney è definita sui media come un’autrice americana di urban fantasy. Se i suoi romanzi siano belli o brutti, non ci è dato sapere, non avendoli letti. Ma di certo possiamo dire che LL (Leotrice Elle) ci sa fare con gli hashtag. Prima, con #WhatWoCWritersHear – più o meno “quello che si sentono dire le scrittrici nere”– McKinney ha raccolto su Twitter un repertorio di sciocchezze e di insulti rivolti appunto alle WoC, le women of color.

Ora, nei giorni scorsi, ha conquistato le pagine culturali del mondo anglofono con #Publishingpaidme, “l’editore mi ha pagato”, un invito ad autori di ogni colore a rivelare gli anticipi ricevuti dalle case editrici con l’obiettivo di esporre le disparità di trattamento tra scrittori bianchi e scrittori neri.

L’hashtag è rimbalzato di tweet in tweet, confermando un dato risaputo: alle autrici e agli autori black toccano cifre di molto inferiori rispetto a quelle versate a chi ha una pelle pinko-grey, rosa-grigio, per dirla con E.M. Forster in Passaggio in India. “Con notevole imbarazzo”, per esempio, l’inglese Matt Haig (bianco) – di cui sta uscendo da e/o Ragioni per continuare a vivere – ha ammesso di avere ricevuto 600.000 sterline per il suo libro più recente.

Non così la statunitense Jesmyn Ward (nera), già vincitrice di un riconoscimento importante, il National Book Award, con Salvage the Bones, che con fatica ha spuntato 100.000 dollari per Sing, Unburied, Sing, con cui ha poi fatto il bis, unica donna a ricevere due volte il premio. (I due libri sono usciti qui per NN).

Su “BuzzFeed” (Book Authors Are Getting Real About How Much They Are Paid) Tomi Obaro e Arianna Rebolini notano che “l’entità di un anticipo è forse il fattore decisivo tra chi può permettersi di fare lo scrittore e chi no – cioè tra chi è pagato abbastanza per passare due anni scrivendo, limando e infine promuovendo il suo libro e chi deve fare lo stesso svolgendo però un secondo (e magari un terzo e un quarto) lavoro”.

McKinney non si aspetta di fare la rivoluzione con un hashtag, ma si augura che “le case editrici smetteranno di trattare gli autori neri e i loro libri pensando solo di metterli a tacere”. Ed è possibile che questo avvenga, forse più per ragioni di marketing che per motivi ideali. Lavori in corso per ripensare il mondo, verrebbe da dire. Con la speranza che la molto auspicata diversity non sia un astratto mantra tuttofare, ma una lente attraverso la quale guardare al passato senza censurarlo.

Intanto, con la pandemia in corso e una grande incertezza sul futuro, molti romanzieri si tormentano per decidere quale piega dare ai loro libri: ne scrive sul “Guardian” Alison Flood e il titolo dell’articolo, No pubs, no kissing, no flying, riassume bene i dilemmi da affrontare. Per esempio Sarah Vaughan, autrice di Anatomia di uno scandalo (Einaudi), per il suo prossimo libro aveva in mente una scena ambientata in un pub londinese pieno di turisti, ma si è resa conto che le incognite erano troppe e ha optato per un caffè da asporto.

Ma il problema è più ampio: “I miei personaggi non avranno vita – dice la scrittrice – se non interagiranno fra loro. Posso eliminare i baci sulle guance, dato che sembrano caduti in disuso, ma le varie figure hanno comunque bisogno di incontrarsi, scontrarsi, fare all’amore – e magari, in un giallo, anche uccidere. Insomma, mancano gli ingredienti indispensabili per dare gusto alla trama, se i personaggi non possono comportarsi come prima del Covid-19”.

Già, come fare con gli incontri, i baci, il sesso? Avercele le risposte, e non solo per i romanzi.

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