Cultura

Tutto il mondo nel tempo reversibile della poesia

Tutto il mondo nel tempo reversibile della poesia"Inferno XVIII"; Virgilio e Dante nell'ottavo girone dell'Inferno, illustrazione di Sandro Botticelli, 1490 circa

Scaffale L'antologia "Aulente fiore. La poesia in Italia prima di Dante", a cura di Dario Pisano, edita da Efesto

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

Se dovessimo contare ad una ad una tutte le parole seminate perché altri un giorno, sia pure per caso, possano venire a raccoglierle e trasformarle in versi, non ci basterebbero neppure cento esistenze. Il lavoro di un’antologia serve a ridurre queste fatiche, a ritrovare ora in tali, ora in altre parole, quel profumo di un mondo che ci sembrava abbandonato: «Ogni colore – ha scritto Ungaretti – si espande / e si adagia negli altri colori. / Per essere più solo se lo guardi». Guardare un colore spandersi, per adagiarsi su altri colori, vuol dire saper intendere le successioni fino all’ultimo degradarsi. Le sfumature, guardate con attenzione, sono – a un tempo stesso – uno e cento colori.

IL SENSO DI UN’ANTOLOGIA è proprio nel conservare questo segreto: nell’ordinare la molteplicità, nel suggerire una progressione di colori – quindi di versi – riconoscendo gli esiti degli altri colori che da questi saranno – e non saranno – formati. Aulente fiore. La poesia in Italia prima di Dante (Efesto, pp. 170, euro 15), a cura di Dario Pisano, è un’antologia che ama scomporre e comprendere in profondità il significato assoluto di questi versi. «Smilzo libro, crogiolo di densità» lo ha detto, a ragione, nella sua prefazione, Giuseppe Manfridi. Pisano, l’autore dell’antologia, è un insegnante che ama ripetere, facendoli amare, giorno dopo giorno, quei dolci e giusti versi che animano le nostre letterature. Tra le pagine dell’antologia è possibile ritrovare la prima poetessa della nostra tradizione letteraria: Compiuta Donzella (cod. Vaticano Latino 3793) per scomparire in quella vanità ch’ella vorrebbe abbandonare assentandosi dal mondo: «Lasciar vorria lo mondo e Deo servire / e dipartirmi d’ogne vanitate».

Ma, se e molti di questi autori sono stati oggetto di una ecdotica raffinata, sono però pochi ad aver riletto – come Pisano – in quegli stessi autori, i loro successori, inventariandone o, per meglio dire, inventandone – al modo di Borges – i predecessori (ha scritto Maria Luisa Spaziani: «nel germoglio è già scritta la gloria del fiore»). Così, se l’influenza di Cavalcanti (Perch ’i’ no spero di tornar giammai) su Caproni (perch’io che nella notte abito solo) appare come un dato acquisito da tutti, la presenza cavalcantiana nel gruppo ’63 è cosa ancora poco nota. Pisano – che non cerca le relazioni e per questo le comprende, – mostra quanto la (cosiddetta) neoavanguardia sia ancora debitrice della poesia antica. Finiamo, allora, per ritrovare ne I dodici mesi di Guccini il gennaio di Folgore da San Gimignano (Io doto voi del mese di gennaio…) o nell’incantesimo dei Mottetti, tutto il preziosismo dello stilnovismo montaliano.

CI ACCORGIAMO, come scrive Pisano, che il tempo letterario è forse l’unico tempo reversibile e che in un verso giusto è consegnato tutto il mondo: passato e presente; perché, come aveva scritto – al solito, immensa – Margherita Guidacci: «chi scrive un verso/ sa che un poeta morto/ prega per lui».
Consapevoli che non esistano scritti che non siano già intrecci di altri scritti, questa antologia, come ogni scelta che si rispetti, è piuttosto una preghiera continua: la meditazione dei poeti morti sui poeti vivi: ora classici e contemporanei. Sorge il dubbio, tardo e felicemente insoluto. Insorge Caproni, amando Sbarbaro: Dubbio a posteriori: i veri grandi poeti, sono i poeti minori?

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