Cultura

Tutto il fascino di Alice nella Roma delle meraviglie

Tutto il fascino di Alice nella Roma delle meraviglieUna scena da "Alice in Wonderland", il film del 2010 diretto e co-prodotto da Tim Burton

Traduzione Graziano Graziani riscrive in ottave romanesche "Alice nel paese delle meraviglie" di Lewis Caroll, che diviene "Alice nel paese dell’Anvedi" (Tic edizioni). Si tratta di un’avventura nell’ignoto che dona grazia, visibile e palpabile, a un testo troppo spesso trattato con i guanti dall’accademia

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 14 marzo 2024

Che significa tradurre? Rendere un testo in un’altra lingua in maniera equivalente? Oppure renderlo in una lingua altra? La diatriba tra chi invoca la prima soluzione e quanti ne conoscono l’impossibilità è oramai annosa. Ma un dato di fatto appare certo: tradurre implica cambiare. Cambiare tutto, il visibile, l’udibile dei testi. Cosa resta allora? L’invisibile, l’ineffabile. Ma quell’impalpabile che resta e che resiste è incalcolabile, inverificabile. Eppure, è sentito, percepito.

ECCO PERCHÉ CERTI FILM che «traducono» certi libri sono più o meno fedeli allo spirito dell’opera. Ed ecco perché, con mezzi altri, le traduzioni, cambiando il visibile e l’udibile dei testi, rendono sempre, bene o male, la fonte che li ispirò. Perché il termine traduzione è ambiguo: vuol dire resa, ma resa significa rendere o arrendersi.
Graziano Graziani rende oggi, grazie a dio e senza arrendersi, uno dei testi più intraducibili di sempre. Riscrive in ottave romanesche Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Caroll, che diviene Alice nel paese dell’Anvedi (Tic edizioni, pp. 68, euro 10). È un’avventura nell’ignoto che dona grazia, visibile e palpabile, a un testo troppo spesso trattato con i guanti dall’accademia. Regala vita e vitalità, in un romanesco post-belliano, post-trilussiano, a uno dei libri che più si dimostrano in grado di farci sognare.

ALICE, LA «REGAZZINA» che sa pensare sei cose impossibili prima di colazione, vive una vita di sogno a occhi aperti. E a occhi chiusi ci viene restituita, grazie al dialetto romanesco, la sua vitalità: «Alice fa le scale in fretta in fretta / li guanti nun li trova ma, in compenzo / se imbatte in una splendida boccetta / – Si me mettessi ad ascortà er buonsenzo / – riflette Alice – io da sta fiaschetta / dovrei evità de beve, questo penzo – / E invece se ne trinca mezza boccia / e in un secondo sbatte la capoccia!».

COSÌ, NELLA STORIA, la bambina invenzione di Carroll ingrandisce e rimpicciolisce. Così insegue un coniglio frettoloso e si stupisce di fronte a quel mondo di invenzione che la inventa. Così, infine, contempla la stranezza da cui è circondata. Questa include cappellai matti e perfino gatti svanenti: «Un gatto senza ghigno l’ho già visto / ma ’n ghigno senza gatto è già più strano… – / De fronte a ’sto fenomeno imprevisto / Alice prova ad allungà la mano / ma ormai der corpo er Micio n’è sprovvisto, / però s’ode ’na voce da lontano / – Se vedemo più tardi, regazzina / Se venghi a pijà er tè da la Regina».

LA TRADUZIONE è un mistero. Cambiando a volte peggiora, lascia per strada qualcosa. Si lascia indietro lo stile, s’è detto, o l’ambiguità. Talvolta, e spesso, riduce, limita, delimita il campo d’azione di un testo. Talvolta, invece, lo sprigiona, e in maniera inaspettata. Come nel caso dei sonetti di Shakespeare resi in romanesco da Luigi Giuliani, proprio così, la poetica Alice di Graziani restituisce, del gran libro di Lewis Carroll, non solo lo spirito, non solo il divertimento, ma l’intimo segreto: l’infinito, l’eterno e indelebile incanto.

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