Tutti in ginocchio. Storie da un calcio in crisi
Sport Le polemiche intorno alla squalifica del presidente della Juventus Agnelli, per un campionato al solito nelle mani dei soliti sei-sette noti. Domenica sfida Milan Roma con la panchina di Montella a rischio
Sport Le polemiche intorno alla squalifica del presidente della Juventus Agnelli, per un campionato al solito nelle mani dei soliti sei-sette noti. Domenica sfida Milan Roma con la panchina di Montella a rischio
Inginocchiati. Negli Stati uniti i giocatori della lega di football americano si sono messi in ginocchio durante l’esecuzione dell’inno nazionale per protestare contro la violenza poliziesca, facendo andare su tutte le furie Donald Trump. In molti però hanno fatto notare che in prima fila c’erano anche i padroni delle franchigie, desiderosi di cavalcare la protesta più cool del momento. E la cosa è sembrata più falsa di un biglietto da 3 dollari. Basta pensare che Colin Kaepernick, il quarterback che lo scorso anno aveva cominciato solitario la protesta, in solidarietà con il movimento Black Lives Matters, quest’anno è senza squadra. È questo il vero monito padronale: qualunque atleta voglia realmente alzare la testa, è fatto fuori. Giù la testa, quindi. Lo fanno in Italia giornali e televisioni, in ginocchio al cospetto del presidente della Juventus Andrea Agnelli, squalificato in primo grado per dodici mesi per aver favorito i bagarini.
Se qualcosa di strano in questo processo c’è, non è un pregiudizio antijuventino, ma che in una torbida vicenda di ricatti, presunti rapporti con le ‘ndrine, strani suicidi di personaggi chiave, il rampollo sabaudo sia stato riconosciuto colpevole di avere avuto «rapporti con esponenti e/o gruppi di sostenitori». Così si vergano editoriali in cui, alla fine, la colpa del povero Agnelli è di avere avuto a che fare con i tifosi: folk devils sempre buoni da usare come capro espiatorio dei mali del calcio. La Juve domenica va a Bergamo per il posticipo, sperando che oltre a Dybala (10 gol, come il nuovo numero di maglia, meglio in Europa solo Falcao del Monaco) comincino a ingranare il paffuto Higuain (sbloccatosi in Champions dopo due panchine consecutive) e i costosi nuovi acquisti. Per la partenza positiva dell’Atalanta vale l’assist d’esterno del Papu Gomez di domenica scorsa, dimostrazione che il bello del calcio spesso non sta in vetrina ma nei coni d’ombra.
La partittissima comunque è alle 18: attesi 80mila spettatori a San Siro per l’arrivo della Roma (vittoriosa a fatica in Champions, fuori Perotti, Defrel e Shick) di fronte a un Milan in crisi. Ok le nove vittorie, ma le uniche partite serie – Lazio e Sampdoria – sono state sconfitte senza appello. Montella, che dopo otto anni si è accorto di non gradire la dieta vegana del suo preparatore atletico e ha deciso di licenziarlo via Twitter, è in ginocchio.
Se il club fallisce l’ingresso in Champions, salta tutto il prospetto economico di rientro dei capitali investiti e dei debiti accumulati per uno dei più strani cambi di proprietà della storia del calcio. In estate girava un video celebrativo con la mappa delle location degli undici acquisti. Bene, quando le città interessate non sono «capitali» come Madrid, Manchester e Monaco, ma province come Bergamo, Wolfsburg e Sunderland, è ovvio che hai costruito una squadra da settimo posto. Come poi si pretenda di arrivare tra le prime quattro è materia per astrologi.
L’Inter, domenica a Benevento, non gioca bene ma vince: in 6 partite, 5 vittorie e 1 pari, 12 gol fatti e 2 subiti: seconda miglior difesa in Europa. Nel racconto speculativo del calcio italiano, giocar male e vincere è sinonimo di grandezza. Abbiamo i nostri dubbi. Gioca meno bene del solito il Napoli, che ospita il Cagliari. Forse perché Sarri ha dovuto cambiare preparazione per superare il preliminare di Champions. Forse perché i suoi schemi, per quanto esaltanti, sono ripetitivi. Staremo a vedere. Mentre, al di là della retorica sul sapore del calcio di provincia, l’entusiasmo per il ritorno di una piazza storica e la favolosa permanenza di un gruppo che lo scorso anno sembrava spacciato, Spal – Crotone rischia di essere un manifesto per il ritorno della Serie A a 16 squadre.
Per snellire le rose, limitare gli acquisti, redistribuire i diritti tv, equilibrare e rendere avvincente un torneo che all’estero spesso non è nemmeno trasmesso. Perché un campionato in cui le sei-sette squadre più forti, esclusi gli scontri diretti, hanno vinto tutte le altre partite, è più falso di una moneta da 3 euro. Perché il calcio italiano, in ginocchio senza mai avere nemmeno tentato alcuna protesta civile, possa provare a rialzarsi.
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