Tutti i dubbi e le bugie di Obama su bin Laden
Pakistan Dopo lo scoop del Premio Pulitzer Hersh
Pakistan Dopo lo scoop del Premio Pulitzer Hersh
Due ex militari pachistani hanno confermato all’agenzia France Press che effettivamente un uomo dei servizi segreti di Islamabad fornì informazioni agliUsa su Osama bin Laden: avrebbe dato una mano per identificarne il Dna. È la prima conferma che riguarda le notizie contenute nell’articolo che Seymour Hersh ha pubblicato domenica sulla London Review of Books e che, sbugiardando la Casa Bianca, fa tutto un nuovo racconto della morte dello sceicco del terrore.
Di questo «traditore» (che non sarebbe un uomo dell’Isi – i più potenti servizi pachistani – ma di un’altra agenzia) si sa solo che ormai vive negli Usa ma potrebbe essere la persona che Hersh – il giornalista divenuto famoso per aver rivelato nel 1968 il massacro di My Lay in Vietnam – ritiene responsabile di aver «venduto» il nascondiglio di Osama alla Cia per 25 milioni di dollari. La Casa Bianca ha smentito la ricostruzione di Hersh che fa fare una pessima figura a tutto lo staff, da Obama all’ultimo dei Navy Seal, i soldati del team operativo che entrarono nella casa di Abbottabad il 2 maggio del 2011 uccidendo bin Laden, un uomo gravemente malato e indifeso. Una pessima figura su una storia totalmente ricostruita e che – scrive – sarebbe «potuta uscire dalla penna di Lewis Carroll», l’autore di Alice nel paese delle meraviglie.
La ricostruzione di Hersh, che si basa su una fonte anonima che descrive minuziosamente ogni particolare sia della caccia a Obl sia dell’operazione del 2 maggio, non riempie tutti i buchi di un’operazione sulla quale circolò più di una versione e numerosi aggiustamenti di tiro ma semmai ne aggiunge altri.
Dubbi che ora si fanno più consistenti dal momento che Hersh dimostra non solo che la Casa bianca mentì ma che tradì il patto coi pachistani, che- nella persona del capo della Forze armate Ashfaq Parvez Kayani e in quella del direttore dell’Isi Ahmed Shuja Pasha – fecero un accordo preciso: dal momento che gli americani avevano scoperto (grazie al «traditore» in seno all’intelligence) che l’Isi custodiva bin Laden in una dorata prigionia ad Abbottabad, avrebbero dato luce verde al raid a due condizioni. La prima, che Obl fosse ucciso. La seconda, che non si venisse mai a sapere il ruolo del Pakistan nel facilitare l’operazione che infatti (a parte l’incidente a un elicottero) si svolse senza intralci: né guardie armate, né intercettazioni aeree e – ironizza l’articolo – nemmeno una macchina dei pompieri quando uno degli elicotteri andò a fuoco.
In buona sostanza, Usa e Pakistan prepararono la trappola con l’accordo che nessuno ne sarebbe venuto a conoscenza per evitare a Islamabad una figuraccia (custodiva il capo dei capi) e per evitare ritorsioni (come avrebbero reagito i jihadisti)? Secondo la fonte di Hersh l’Isi teneva prigioniero bin Laden utilizzandolo come leva per manovrare sia i talebani sia i qaedisti. La sua morte non poteva essere imputata ai pachistani.
Obama però tradì il patto rivelando che l’operativo si doveva alla collaborazione pachistana. Poi l’ammissione frettolosa fu smentita. Ma ciò che appare evidente dal racconto di Hersh è che la cosa doveva avvenire in tutt’altro modo e che fu l’incidente dell’elicottero a obbligare tutti a far circolare la vera storia ( comunque artefatta) che forse sarebbe stata raccontata in altro modo addirittura menzionando un altro luogo (Osama fu subito portato in Afghanistan). Anche la narrazione sul corpo dello sceicco morto, misteriosamente sepolto in mare e senza che se ne sia mai vista una immagine, subì un’accelerazione, che portò a costruire fandonie una sull’altra, arricchite da falsi dossier.
Obama del resto, dice Hersh, doveva essere rieletto e con la morte di bin Laden avrebbe potuto, come fece, dichiarare la guerra in Afghanistan «missione compiuta».
Che la Casa bianca si trovi in grande imbarazzo è abbastanza evidente. Qualcuno ha accusato Hersh di aver utilizzato troppe fonti anonime che non rendono credibile il suo racconto. Ma Hersh è un giornalista credibile e, del resto, le fonti anonime sono da sempre acqua al mulino dei reporter specie se la loro autorevolezza è in grado di farcele ritenere veritiere e verificate. La vicenda apre adesso due fronti. Il primo è interno: nel Paese dove dire le bugie è ritenuto un fatto gravissimo, Obama macchia il suo ultimo vestito da presidente.
Ma si macchia anche quello di Hillary Clinton (presente nella famosa stanza operativa che seguiva il raid dagli Usa) e l’intera amministrazione. A parte la ricaduta d’immagine in tutto il mondo (siamo abituati a che mentano i servizi segreti ma se lo fa un presidente la cosa è un po’ diversa), cosa succederà ora coi pachistani? E quali effetti avrà la grande bugia sui terroristi assetati di ogni buona ragione per spargere sangue?
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento