«Sono passati 30 anni da quando è stata negoziata e firmata la Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici nel 1992: da allora l’intensità di carbonio globale (la quantità di CO2 per unità di Pil) si è ridotta di meno dell’1%. Di questo passo, per decarbonizzare i sistemi di produzione dell’energia ci vorranno 150 anni…».

Lo studio di The Lancet sul rapporto tra cambiamenti climatici e salute sottolinea gli errori dei governi nell’affrontare un problema noto almeno dagli anni Sessanta di fronte al quale si persevera continuando a incoraggiare la produzione e il consumo dei combustibili fossili, petrolio e metano. L’entità dei sussidi ambientalmente dannosi (stimati globalmente in 400 miliardi di dollari nel 2019, quelli italiani sono circa 21 miliardi secondo le stime del Mite) svela quanto il clima non sia esattamente una priorità nella mente di chi ci governa: 69 degli 86 stati analizzati dagli esperti di The Lancet erogano sussidi alle fonti fossili con somme di denaro pubblico che eccedono del 10% la spesa sanitaria in 31 stati e addirittura del 100% in 5 stati.

«Allo stesso tempo – si legge – finora i governi non sono riusciti a mettere a disposizione la somma ben inferiore di 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare l’azione climatica nei paesi a più basso reddito, come si erano impegnati a fare in base all’Accordo di Copenhagen (Cop 15, nel 2009) mettendo a rischio una equa transizione verso un futuro più sicuro». Chiaro il messaggio in vista della prossima Cop 27, dall’8 novembre in Egitto, che ha in agenda vari temi di finanza climatica e le compensazioni per le perdite e i danni subiti dai paesi in via di sviluppo.

Un’unica nota positiva viene dallo sviluppo delle «energie pulite» che nel 2020 hanno raggiunto livelli record, mentre nel 2021 l’80% degli investimenti nella generazione elettrica è andato alle fonti a zero emissioni. Altro primato delle rinnovabili riguarda i posti di lavoro: per la prima volta l’occupazione ha superato quella dell’industria di estrazione dei combustibili fossili.
Quanto alle strategie delle maggiori 15 compagnie petrolifere, malgrado i proclami e gli impegni a favore del clima, porteranno a sforamenti del loro carbon budget fissato per rispettare l’Accordo di Parigi del 37% entro il 2030 e del 103% nel 2040. E non ci sono segnali che gli extra-profitti incamerati quest’anno vengano investiti verso fonti a zero emissioni.

I ritardi nella diffusione e nell’accesso equo a fonti di energia pulita rendono anche le abitazioni dei paesi a basso e medio reddito particolarmente esposte al particolato (PM2.5), oltre che alla povertà energetica. Le biomasse, come legna e sterco, hanno contribuito globalmente al 31% dell’energia consumata a livello domestico in 62 paesi, percentuale che sale al 96% nei paesi a basso e medio reddito, esponendo le famiglie a livelli di inquinanti anche dentro casa che sono 30 volte superiori a quelli raccomandati dall’Oms.

Eppure, con meno di un terzo dei 3,1 trilioni di dollari stanziati globalmente per la ripresa dalla crisi-Covid, sarebbe possibile ridurre sensibilmente le emissioni e l’inquinamento atmosferico. E i benefici sarebbero multipli: migliorare la qualità dell’aria aiuterebbe a ridurre drasticamente le morti correlate all’inquinamento che sono state 1,3 milioni nel mondo nel 2020. Una transizione verso una dieta più equilibrata con minori proteine animali potrebbe dimezzare le emissioni degli allevamenti bovini e prevenire fino a 11,5 milioni di decessi annui, oltre a ridurre il rischio di sviluppo di malattie zoonotiche.

Anche la vita nelle città andrebbe completamente ripensata in funzione della salute e del benessere di chi le abita: solo le polveri sottili riconducibili all’uso dei condizionatori sono state responsabili di 24 mila decessi nel 2020. Un’urbanistica centrata sul benessere garantirebbe maggiori spazi verdi che contribuirebbero a ridurre le isole di calore, a migliorare la qualità dell’aria e la vivibilità con benefici sulla salute.
Persino i media si stanno accorgendo che qualcosa è cambiato nel clima: la copertura di notizie su clima e salute è aumentata del 27% nel 2021 rispetto all’anno precedente, quando si è parlato praticamente solo di pandemia.