Diversi studi suggeriscono che la dieta mediterranea possa prevenire la riduzione delle abilità cognitive (la demenza, l’Alzheimer) che caratterizzano la persona anziana. Tuttavia non è ancora del tutto chiaro quali sostanze presenti nei vegetali siano responsabili di questo effetto protettivo.

Lo studio durato circa sette anni e pubblicato sulla rivista The American Journal of Clinical Nutrition (Volume 113, Issue 1, January 2021, Pages 200–208) ha coinvolto un migliaio di soggetti con età media di 81 anni all’inizio dello studio. In queste persone l’apporto dietetico di carotenoidi (sostanze protettive presenti nei vegetali colorati in giallo, arancio, rosso, blu, verde scuro) è risultato correlato alla minore comparsa dei più gravi quadri di demenza, come la malattia di Alzheimer.

La riduzione del rischio è stata quasi del 50% nel gruppo che consumava la maggior quantità di alimenti contenenti carotenoidi. I carotenoidi che si sono rivelati più utili sono stati la luteina e la zeaxantina, presenti soprattutto nel cavolo verde, negli spinaci, nei peperoni, nel mais (ma anche nel tuorlo d’uovo).

I risultati delle autopsie effettuate su coloro che nel frattempo erano deceduti hanno confermato che un elevato apporto dietetico di carotenoidi era associato al riscontro nel cervello di una minore quantità di placche e fibrille tipiche della malattia di Alzheimer.

Una dieta basata largamente sui vegetali agisce positivamente nella riduzione del rischio per patologie degenerative cerebrali probabilmente anche attraverso altre vie e altri meccanismi biologici. Ce lo suggerisce uno studio pubblicato online lo scorso 6 febbraio sulla rivista Nutritional neuroscience. Uno studio che ha valutato le abitudini dietetiche di 3.700 adulti sani con un’età media di 50 anni e seguiti per circa 20 anni.

Le fibre (presenti, è bene ricordarlo, esclusivamente negli alimenti vegetali come cereali integrali, legumi, frutta, verdure, semi oleosi) sono state in grado di proteggere dallo sviluppo di demenza in modo direttamente proporzionale alle quantità consumate.

Mentre il risultato è chiaro, i meccanismi in gioco non sono ancora del tutto definiti. Probabilmente il principale di questi è l’influenza delle fibre sull’equilibrio e sull’attività del microbiota intestinale. Che, quando alterati, producono fenomeni infiammatori che coinvolgono anche il cervello.