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Traduzioni e interpreti del Grande Gatsby in una rassegna di Balestra

Traduzioni e interpreti del Grande Gatsby in una rassegna di BalestraAlan Ladd e Betty Field in The Great Gatsby, regia di Elliott Nugent, 1949

«Riflessi» del terzo romanzo di Fitzgerald, da Artemide

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 23 giugno 2019

Capace di veicolare idee sul nostro tempo con maggiore incisività di qualsiasi opera contemporanea, Il grande Gatsby è uno di quei libri che pur essendo rappresentativo di un periodo storico – l’età del jazz in America – e di uno stile letterario specifico – il modernismo – ha acquisito un valore archetipico, valicando i confini nazionali e generando un vero e proprio mito culturale; non a caso, ancora oggi il capolavoro di Fitzgerald sfugge a qualsiasi definizione tradizionale di genere: Bildungsroman, gangster story, giallo, melodramma, romanzo semi-autobiografico, tragica storia d’amore, opera di aspra critica sociale – a ogni rilettura il libro non smette di cambiare forma sotto i nostri occhi.

A quasi un secolo di distanza, i colori scintillanti delle feste di Gatsby giungono a noi rifratti attraverso il prisma del tempo, ma senza nulla perdere dell’originario bagliore.
Riflessi del Grande Gatsby Traduzioni, cinema teatro, musica (Artemide, pp. 224, e 20,00) è il titolo del libro con cui Gianfranca Balestra, curatrice di un’importante edizione critica del romanzo, pubblicata nel 2011 da Marsilio nella traduzione di Roberto Serrai – analizza in modo competente ed esaustivo «l’effetto Gatsby», dalla prima pubblicazione nel 1925 fino a oggi. In un affascinante tour de force il libro ripercorre le molteplici traduzioni interlinguistiche e intersemiotiche del romanzo di Fitzgerald, considerato un «ipotesto che ritorna in diverse forme di intertestualità, implicite ed esplicite, dalle citazioni e allusioni metatestuali alle traduzioni letterarie e intersemiotiche: teatro, cinema, televisione, musica, opera, balletto, graphic novel, fumetto».

Suggestiva la disamina delle moltissime traduzioni italiane, a partire da quelle ormai «classiche» – come la versione di Fernanda Pivano del 1950 o la prima italiana in assoluto, intitolata Gatsby il magnifico e redatta da Cesare Giardini nel 1936 su un’edizione in francese del testo originale – fino a quelle più recenti (ben dodici), realizzate a partire dal 2011, data della scadenza dei diritti d’autore del romanzo. Dallo studio di Balestra risulta, ad esempio, che di là delle scelte specifiche di ciascun traduttore, oggi si tende a privilegiare l’adeguatezza sull’accettabilità, rispettando per quanto possibile le idiosincrasie e le asperità del prototesto per rendere il lettore più consapevolmente partecipe del tessuto linguistico e stilistico originale.

Il gioco di referenze e rifrazioni diventa ancora più esplicito nell’analisi degli adattamenti cinematografici e televisivi. Scopriamo infatti che esistono sei versioni del Grande Gatsby realizzate per il grande e il piccolo schermo, e che ciascuna di esse ha rappresentato la storia del cinema nelle sue fasi – muto, classico, moderno, postmoderno – «con l’aggiunta di un film per la televisione e di una riscrittura in chiave hip hop». Negli anni tra il film muto del 1926, oggi andato perduto, e la rivisitazione ostentatamente sopra le righe di Baz Luhrmann apparsa nel 2013, Gatsby si è incarnato di volta in volta nel gangster dal passato misterioso interpretato da Alan Ladd nel 1949, che «fa la sua prima apparizione sparando da un’automobile in corsa»; nel sorriso splendente di Robert Redford, il golden boy romantico e determinato che corteggia Mia Farrow (Daisy) nel film del 1974; nello sguardo cinico dell’attore inglese Toby Stephens, protagonista del remake a basso costo girato per il piccolo schermo nel 2000; o ancora, nel musicista rap Summer G, interpretato da Richard T. Jones nella riscrittura hip hop del 2002; e infine nel volto iconico di Leonardo Di Caprio, che secondo l’autrice «riesce a modulare il fantomatico sorriso di Gatsby con una varietà di sfumature tali da fare apparire rigido quello misterioso e indecifrabile di Robert Redford».

A ognuno di questi film – e agli adattamenti teatrali, musicali e coreutici, che siano tradizionali o sperimentali, filologicamente accurati o dichiaratamente commerciali – Balestra dedica un’ampia riflessione critica, invogliandoci a rileggere il romanzo da punti di vista differenti (in un musical del 2016 il narratore diventa addirittura il contrabbandiere Wolfshiem) o persino a riviverlo in prima persona, come avviene in alcune recenti performance dove gli spettatori partecipano a una festa in abiti d’epoca, in un teatro trasformato per l’occasione in speakeasy, mentre le vicende dei personaggi vanno in scena tra il pubblico.

Ogni nuova traduzione e ogni riscrittura del Grande Gatsby è in primo luogo una rielaborazione personale, che contribuisce all’arricchimento dei temi già estremamente complessi del romanzo; al tempo stesso, ogni adattamento ci rivela qualcosa di fondamentale del nostro bagaglio culturale: se è vera la definizione dei classici data da Umberto Eco, dei «sopravvissuti per ragioni darwiniane» all’oblio del tempo, è altrettanto vero che nel corso dei decenni i lettori hanno contribuito alla sopravvivenza del romanzo di Fitzgerald adattandolo ai linguaggi dei media.

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