Traduzioni e interpreti del Grande Gatsby in una rassegna di Balestra
«Riflessi» del terzo romanzo di Fitzgerald, da Artemide
«Riflessi» del terzo romanzo di Fitzgerald, da Artemide
Capace di veicolare idee sul nostro tempo con maggiore incisività di qualsiasi opera contemporanea, Il grande Gatsby è uno di quei libri che pur essendo rappresentativo di un periodo storico – l’età del jazz in America – e di uno stile letterario specifico – il modernismo – ha acquisito un valore archetipico, valicando i confini nazionali e generando un vero e proprio mito culturale; non a caso, ancora oggi il capolavoro di Fitzgerald sfugge a qualsiasi definizione tradizionale di genere: Bildungsroman, gangster story, giallo, melodramma, romanzo semi-autobiografico, tragica storia d’amore, opera di aspra critica sociale – a ogni rilettura il libro non smette di cambiare forma sotto i nostri occhi.
A quasi un secolo di distanza, i colori scintillanti delle feste di Gatsby giungono a noi rifratti attraverso il prisma del tempo, ma senza nulla perdere dell’originario bagliore.
Riflessi del Grande Gatsby Traduzioni, cinema teatro, musica (Artemide, pp. 224, e 20,00) è il titolo del libro con cui Gianfranca Balestra, curatrice di un’importante edizione critica del romanzo, pubblicata nel 2011 da Marsilio nella traduzione di Roberto Serrai – analizza in modo competente ed esaustivo «l’effetto Gatsby», dalla prima pubblicazione nel 1925 fino a oggi. In un affascinante tour de force il libro ripercorre le molteplici traduzioni interlinguistiche e intersemiotiche del romanzo di Fitzgerald, considerato un «ipotesto che ritorna in diverse forme di intertestualità, implicite ed esplicite, dalle citazioni e allusioni metatestuali alle traduzioni letterarie e intersemiotiche: teatro, cinema, televisione, musica, opera, balletto, graphic novel, fumetto».
Suggestiva la disamina delle moltissime traduzioni italiane, a partire da quelle ormai «classiche» – come la versione di Fernanda Pivano del 1950 o la prima italiana in assoluto, intitolata Gatsby il magnifico e redatta da Cesare Giardini nel 1936 su un’edizione in francese del testo originale – fino a quelle più recenti (ben dodici), realizzate a partire dal 2011, data della scadenza dei diritti d’autore del romanzo. Dallo studio di Balestra risulta, ad esempio, che di là delle scelte specifiche di ciascun traduttore, oggi si tende a privilegiare l’adeguatezza sull’accettabilità, rispettando per quanto possibile le idiosincrasie e le asperità del prototesto per rendere il lettore più consapevolmente partecipe del tessuto linguistico e stilistico originale.
Il gioco di referenze e rifrazioni diventa ancora più esplicito nell’analisi degli adattamenti cinematografici e televisivi. Scopriamo infatti che esistono sei versioni del Grande Gatsby realizzate per il grande e il piccolo schermo, e che ciascuna di esse ha rappresentato la storia del cinema nelle sue fasi – muto, classico, moderno, postmoderno – «con l’aggiunta di un film per la televisione e di una riscrittura in chiave hip hop». Negli anni tra il film muto del 1926, oggi andato perduto, e la rivisitazione ostentatamente sopra le righe di Baz Luhrmann apparsa nel 2013, Gatsby si è incarnato di volta in volta nel gangster dal passato misterioso interpretato da Alan Ladd nel 1949, che «fa la sua prima apparizione sparando da un’automobile in corsa»; nel sorriso splendente di Robert Redford, il golden boy romantico e determinato che corteggia Mia Farrow (Daisy) nel film del 1974; nello sguardo cinico dell’attore inglese Toby Stephens, protagonista del remake a basso costo girato per il piccolo schermo nel 2000; o ancora, nel musicista rap Summer G, interpretato da Richard T. Jones nella riscrittura hip hop del 2002; e infine nel volto iconico di Leonardo Di Caprio, che secondo l’autrice «riesce a modulare il fantomatico sorriso di Gatsby con una varietà di sfumature tali da fare apparire rigido quello misterioso e indecifrabile di Robert Redford».
A ognuno di questi film – e agli adattamenti teatrali, musicali e coreutici, che siano tradizionali o sperimentali, filologicamente accurati o dichiaratamente commerciali – Balestra dedica un’ampia riflessione critica, invogliandoci a rileggere il romanzo da punti di vista differenti (in un musical del 2016 il narratore diventa addirittura il contrabbandiere Wolfshiem) o persino a riviverlo in prima persona, come avviene in alcune recenti performance dove gli spettatori partecipano a una festa in abiti d’epoca, in un teatro trasformato per l’occasione in speakeasy, mentre le vicende dei personaggi vanno in scena tra il pubblico.
Ogni nuova traduzione e ogni riscrittura del Grande Gatsby è in primo luogo una rielaborazione personale, che contribuisce all’arricchimento dei temi già estremamente complessi del romanzo; al tempo stesso, ogni adattamento ci rivela qualcosa di fondamentale del nostro bagaglio culturale: se è vera la definizione dei classici data da Umberto Eco, dei «sopravvissuti per ragioni darwiniane» all’oblio del tempo, è altrettanto vero che nel corso dei decenni i lettori hanno contribuito alla sopravvivenza del romanzo di Fitzgerald adattandolo ai linguaggi dei media.
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