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Tutte le strade portano ad Arezzo

Tutte le strade portano ad ArezzoMaria Elena Boschi – Lapresse

Banca Etruria La città toscana capitale del potere renziano in un groviglio di interessi politici e finanziari. Domani alla camera la mozione di sfiducia alla ministra Boschi. Verdini fa quadrato, Berlusconi glissa

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 17 dicembre 2015

Domani mattina la Camera discuterà la mozione di sfiducia individuale contro la ministra Boschi presentata dall’M5S. Per quella che riguarda l’intero governo, presentata da Fi e Lega, ci vorrà più tempo, e ancora di più ne richiederà l’eventuale discussione delle analoghe mozioni al Senato. Quella dei pentastellati contro la Boschi è già stata presentata, mentre quella contro il governo non si capisce bene se Fi e Lega intendano metterla in campo anche a palazzo Madama, dove il capogruppo Paolo Romani insiste su una inutilissima commissione d’inchiesta sul sistema bancario nel complesso.

Gli azzurri, peraltro, sulla sfiducia contro la ministra si asterranno: una posizione più che conciliante che fa premio sulle ruggenti dichiarazioni di Berlusconi. Particolari. Posizionamenti politici decisi in vista delle prossime comunali, con l’attenzione rivolta alla competizione con gli alleati leghisti o con l’M5S. Il solo effetto dell’astensione azzurra, al Senato, sarà quello di rendere superflui i voti di un Verdini, che neppure più si finge neutrale: «Noi uscire dall’aula? No, no. Noi sosteniamo il governo».

Non è mica casuale che l’astuto Denis scelga proprio questa occasione per uscire allo scoperto a supporto di un governo che comprensibilmente preferirebbe un appoggio meno esplicito.

Verdini sa che in questo momento Renzi è troppo debole per permettersi di cavillare sull’odore degli alleati. Gli servono tutti, e profumano tutti di violetta. Ieri, al Senato, il premier ha ripetuto il suo mantra: «Abbiamo salvato migliaia di correntisti e di posti di lavoro. Non potevamo fare altro». Più aggressivo e al contrattacco del solito però: «Le leggi che ci hanno imposto di muoverci così sono state varate non dal nostro governo. Altri paesi hanno speso molti miliardi per salvare le banche. Ma lo hanno fatto quando le nuove leggi non erano ancora in vigore». Sottinteso: il guaio lo hanno fatto tutti quelli che ci hanno preceduto.
E la colpa, sia chiaro, è tutta e solo dei governi precedenti. Cancellati per magia gli appunti dei primi giorni a carico di chi doveva sorvegliare e non lo ha fatto, Bankitalia e Consob. Altro che critiche: ormai siamo agli elogi sperticati, agli applausi a scena aperta. «Le autorità di vigilanza hanno svolto i loro compiti con efficacia», ha assicurato ineffabile il ministro Pier Carlo Padoan alla Camera.

Può apparire bizzarra questa difesa a spada tratta che fa a cazzotti con il senso di realtà, oltre che con la palese verità. Ma forse è meno incomprensibile di quanto possa sembrare.
Sarà una coincidenza che dopo gli attacchi rivolti dal governo ai vigilatori svagati siano cominciati a comparire, sul Giornale, documenti sulla speculazione che sarebbe stata imbastita intorno alla riforma delle banche popolari? Un presunto insider trading emergerebbe da un’intercettazione sintetizzata in un’informativa della Gdf in cui Carlo De Benedetti avrebbe ordinato di comprare azioni delle popolari, apparentemente consapevole di farlo al momento giusto, subito prima del varo di una legge di cui sembrerebbe conoscere in anticipo i contenuti. Nel febbraio scorso David Serra, il finanziere pappa e ciccia col capo del governo, venne convocato in Consob ma assicurò che il suo fondo Algebris non aveva fatto operazioni a ridosso del decreto.

Sarà per puro caso, ma certo dopo l’inizio della campagna sull’insider trading che accompagnò la legge di riforma delle banche popolari, ovviamente Etruria inclusa, il governo è passato dal criticare i sorveglianti distratti a lodarli per la loro estrema attenzione. Cose che capitano quando i poteri sfoderano le reciproche armi di distruzione.
Anche su quel fronte, una pace fondata sulla classica deterrenza è dunque dietro l’angolo. Eppure Renzi il sospiro di sollievo non può tirarlo, perché quel che da questa vicenda viene piano piano fuori è un pozzo nero, spalancato a cielo aperto sotto il ridente cielo toscano, e in particolare in quel di Arezzo, la città di Licio il defunto e dell’indimenticabile Amintore Fanfani, ma anche di suo figlio Giorgio, portato dal governo al Csm e difensore di Banca Etruria, la stessa dove il procuratore che indaga sulla banca già vicepresieduta dal babbo della ministra è anche collaboratore del governo.

Una regione dove tutti sono amichetti e figli di papà amiconi, quello di Renzi e quello della Boschi e quello del sottosegretario Luca Lotti che concesse al papà di Matteo, oggi indagato per bancarotta fraudolenta, un ricco mutuo, e amico di famiglia anche Verdini, che garantisce al pargolo la maggioranza al Senato.

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