Internazionale

Turchia, guerra delle intercettazioni

Turchia, guerra delle intercettazioniAnkara, manifestazione contro il governo Erdogan. Sotto il premier Erdogan e Fethullah Gülen – Reuters

Telefoni sotto controllo Senza esclusione di colpi lo scontro ai vertici del potere, iniziato con la maxi operazione anti-corruzione. Una presunta conversazione inguaia Erdogan. Mentre i giornali filo-governativi pubblicano la lista di persone «ascoltate» da una «struttura parallela» capeggiata dal rivale del premier Gülen

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 2 marzo 2014
Fazila MatISTANBUL

In Turchia non si placa la guerra delle intercettazioni. A un mese dalle elezioni amministrative del 30 marzo, considerate dal premier islamico-conservatore Tayyip Erdogan un test cruciale per la determinazione del proprio futuro politico, nuovi scandali continuano ad abbattersi sul governo turco che reagisce approvando leggi lampo, smentendo le accuse, contrattaccando gli avversari.

La mattina del 24 febbraio la Turchia si è svegliata con l’ennesima notizia sconcertante. Yeni Safak e Star, due quotidiani vicini alle posizioni del governo guidato dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp), hanno pubblicato in prima pagina una lista con i nomi di settemila persone le cui linee telefoniche sono state tenute sotto controllo per tre anni: ministri, politici, giornalisti, membri di varie ong, uomini di affari e cittadini comuni, tutti presunti membri di una fantomatica organizzazione terroristica chiamata «Selam». L’elenco sarebbe stato scoperto grazie ai procuratori che hanno sostituito su pressione del governo quelli che avevano dato il via alla maxi operazione anti-corruzione del 17 dicembre, che ha coinvolto molte figure importanti dell’esecutivo e dell’entourage del premier.

Secondo quanto sostenuto dal quotidiano Yeni Safak, la «struttura parallela» responsabile dell’operazione di dicembre – che farebbe capo al movimento «Hizmet» dell’influente imam Fethullah Gülen, in esilio volontario negli Stati uniti dal 1999, che puntualmente nega le accuse – si troverebbe anche dietro alle intercettazioni delle migliaia di persone che intendeva mandare in prigione, dopo aver rovesciato il governo Erdogan. Intanto, mentre il Consiglio superiore della magistratura (Hsyk) ha avviato un’indagine sui procuratori e i giudici che avrebbero ordinato le intercettazioni – peraltro su autodenuncia degli stessi magistrati, che vogliono così smentire ogni accusa – il procuratore capo di Istanbul, Hadi Salihoglu, ha per il momento confermato solo l’esistenza di una lista di 2.280 intercettati, che sarebbe però destinata a crescere.

Linee bollenti

Prima ancora che lo shock suscitato da questa notizia si fosse spento, l’anonimo account twitter @haramzadeler ha messo in circolazione una nuova registrazione audio attribuita al premier e a suo figlio Bilal. Cinque presunte conversazioni svolte tra il 17 e il 18 dicembre, in concomitanza delle operazioni della polizia che hanno portato alla confisca di oltre 17 milioni di dollari nelle abitazioni dei figli di tre ministri, del direttore della Halkbank e del businessman Reza Zerrab.

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Nell’audio Erdogan metterebbe al corrente il figlio di quanto sta avvenendo quella mattina, dicendogli di «far uscire di casa quello che c’è». «Cosa mai posso avere io papà», ribatte il figlio, «ho solo i tuoi soldi nella cassa», «appunto», risponde il primo ministro. Nelle seguenti conversazioni, la voce attribuita a Bilal Erdogan aggiorna il padre sullo stato di trasferimento del denaro, diverse decine di milioni di dollari in contanti, distribuiti tra vari uomini d’affari con l’aiuto della sorella Sümeyye e di altri parenti. Più di una volta la voce attribuita al premier intima di non parlare apertamente al figlio che ha difficoltà nel trovare una sistemazione per gli ultimi 30 milioni di dollari rimasti.

Erdogan, che ha definito la registrazione «un attacco meschino, un montaggio, un doppiaggio, un’esca gettata dall’altra parte dell’oceano», ha accusato diverse «lobby» non bene identificate di far parte del complotto ordito contro il suo governo. «Sono così meschini che hanno ascoltato perfino i telefoni criptati. Ma noi avvieremo per tutti le vie legali e li troveremo», ha affermato.

Le reazioni dell’opposizione

Il leader del Partito repubblicano del popolo (Chp) – principale formazione d’opposizione – Kemal Kiliçdaroglu, come già con precedenti file audio attribuiti al premier, ha fatto ascoltare le conversazioni durante la riunione del gruppo parlamentare del suo partito affermando che le «registrazioni sono vere quanto il monte Ararat» e invitando poi il premier a «fuggire all’estero» o a «dimettersi». Per il leader del partito nazionalista Mhp Devlet Bahçeli «il premier e il governo hanno perso tutta la loro legittimità», mentre secondo Selahattin Demirtas del filo-curdo Bdp «se il figlio di Erdogan non fosse inciampato in queste intercettazioni non avremmo mai visto i nomi di quelle settemila persone sui giornali e il premier avrebbe utilizzato le relative registrazioni telefoniche contro i suoi oppositori, proprio come ha fatto negli ultimi 5 anni».

Montaggio o realtà?

Sebbene sulla stampa e sui social media se ne discuta da giorni, resta ancora da sapere se la registrazione sia vera o un montaggio oppure, vista la verosimiglianza delle voci confermata anche da ex collaboratori stretti del premier, il prodotto di un abile doppiaggio. Chi sostiene che si tratta di una registrazione artefatta indica come prova il calendario ufficiale del premier nella giornata della presunta intercettazione, dove Erdogan afferma di essere ad Ankara. Il premier si trovava infatti a Konya nella giornata del 17 dicembre, ma non nelle prime ore del mattino, quando si sarebbero svolti i dialoghi iniziali.

Ma il vero punto interrogativo riguarda il risultato degli accertamenti tecnici della registrazione che, ricordano gli esperti, non può essere al contempo «un montaggio» e «un doppiaggio» come afferma il premier. Secondo una notizia apparsa sul portale Haber 7, il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) di Erdogan avrebbe incaricato due note società statunitensi di preparare un rapporto in merito. Nella giornata di giovedì Star e Sabah, due giornali filo-governativi, hanno pubblicato le analisi attribuite alle aziende Kaleidoscope Sound e John Marshall Media, in cui si sostiene che la registrazione è frutto di un montaggio. In giornata però è arrivata la smentita da entrambe le società che sottolineano di non essere specialisti forensi di audio.

La Kaleidocope ha affermato di avere stabilito solo se la registrazione fosse composta da diversi spezzoni di audio – la risposta è sicuramente affermativa, dal momento che si parla di 5 conversazioni telefoniche distinte. A sua volta, John Marshall Cheary, proprietario e amministratore delegato dell’omonima azienda, ha negato sulla propria pagina Facebook che la sua società avesse mai espresso alcun giudizio su una registrazione telefonica in lingua turca, né tanto meno rilasciato un rapporto come quello pubblicato su alcuni media locali, aggiungendo di volere intraprendere le vie legali.

Diversi quotidiani hanno tuttavia dato spazio ai pareri di esperti, le cui analisi dimostrerebbero che le registrazioni non sono state montate e nemmeno doppiate, mentre il governo evita di fornire ulteriori chiarimenti tecnici sulla questione, avvalorando le tesi dei primi. Il ministro della Scienza Fikri Isik ha liquidato la necessità di effettuare delle verifiche presso l’ente nazionale per la ricerca tecnologica e scientifica (Tübitak). Nel frattempo cinque persone della stessa istituzione, responsabili della gestione dei telefoni criptati utilizzati dalle cariche statali, sono stati allontanati dall’incarico.

Per Kadri Gürsel, analista politico del quotidiano Milliyet, la questione vera è un’altra. «Realizzare un accertamento sulle registrazioni è qualcosa di estremamente semplice in realtà. Il problema è trovare un’istituzione affidabile, indipendente, superpartes e rispettabile che possa assumersi questo compito. Esiste? Ne è rimasto qualcuno? In alternativa si potrebbero chiamare intermediari istituzionali indipendenti e affidabili a stabilire un contatto sulla questione con organizzazioni estere serie. Ce ne sono? Passiamo ad altro», scrive il giornalista.

Continua il muro contro muro

Prima di essere rimossi da Youtube gli scandalosi file audio sono stati ascoltati da oltre 2,5 milioni di persone. Ma le registrazioni sono circolate ovunque, perfino sui mezzi di trasporto, sui taxi e durante le manifestazioni di protesta che martedì scorso hanno nuovamente portato per le strade migliaia di persone che chiedevano le dimissioni del governo accusandolo di essere corrotto. Nessun dialogo, nessuna reazione conciliante, da quando l’estate scorsa sono avvenuti i fatti di Gezi, la risposta del governo alle rimostranze dei cittadini è sempre la stessa: gas lacrimogeni e idranti.

Intanto l’ondata delle registrazioni continua. Mercoledì sera è finita in rete un’altra conversazione, sempre presunta, tra Erdogan e il figlio. Questa volta si sente il premier dire al giovane di non accettare una somma di denaro inferiore a quella promessa da un businessman per concludere un accordo di affari. Il file accusa il premier di ricevere regolarmente mazzette da numerosi businessman in cambio di incentivi dello stato.

Mentre il presidente della Repubblica Abdullah Gül continua a sottoscrivere le leggi promulgate dal parlamento in tempi record come quella sulla limitazione di internet e la nuova normativa che mette il consiglio superiore della magistratura (Hsyk) sotto lo stretto controllo del potere esecutivo, tra i membri del movimento di Gülen circola la voce che il governo starebbe preparando un’operazione di polizia contro di loro.

Secondo alcuni osservatori Erdogan sarebbe invece arrivato al termine della sua carriera politica. Nel pezzo del 26 febbraio scorso apparso su Radikal con il titolo «La fine», l’analista Cengiz Çandar scrive che «nell’era di internet e della globalizzazione, con la Turchia che fa parte di istituzioni occidentali, non è possibile mettere a tacere gli scandali di corruzione. Un paese il cui governo si trovi sotto una pesante accusa di corruzione e utilizzi ogni tipo di provvedimento anti-democratico per nasconderla non può risolvere alcuna crisi economica. Ma dovrà sicuramente pagare un conto in politica. È ciò che attende la Turchia. Non c’è scampo», conclude l’autore.

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Resta da chiedersi in cosa si concretizzerà questo «conto» visto che nel paese le alternative politiche all’Akp risultano ancora insufficienti e incerte, mentre un potere sicuramente forte come quello del movimento di Gülen continua a mantenere la sua ambigua inafferrabilità.

 

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