Internazionale

Turchia e Israele tra due fuochi

Turchia e Israele tra due fuochiIl presidente turco Erdogan con Vladimir Putin

Guerra Russia-Ucraina Ankara e Tel Aviv ieri si sono schierate con l'Ucraina sotto attacco ma non possono rompere con Putin. La Turchia per ragioni economiche e interessi comuni, Israele per motivi militari e strategici

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 25 febbraio 2022

L’attacco militare lanciato da Putin all’Ucraina ha avuto riflessi immediati in Medio oriente, ponendo sfide complesse in particolare a Turchia e Israele. I due paesi mantengono da anni buone relazioni con Mosca e Kiev e dall’inizio della crisi hanno cercato, in modi diversi, di non schierarsi apertamente, anche se dietro le quinte tifavano per l’Ucraina. L’inizio della guerra ha fatto uscire allo scoperto Ankara e Tel Aviv che hanno espresso pieno sostegno a Kiev.

Il leader turco Erdogan ha subito telefonato al presidente ucraino Zelensky. Ha definito il via libera di Putin alle operazioni militari «un’aggressione inaccettabile, che viola il diritto internazionale». Pressato dalla necessità di recuperare i rapporti con Washington, turbolenti da anni, Erdogan si tiene in linea con la posizione della Nato, cioè degli Usa. Allo stesso tempo il suo paese ha importanti rapporti economici con Mosca – e un accordo di cooperazione, sia pure zoppicante, sulla questione siriana – e, in ogni caso, non bloccherà il transito delle navi da guerra russe attraverso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli come gli chiedeva ieri con forza l’Ucraina. La convenzione di Montreux del 1936 assegna ad Ankara il controllo degli stretti e l’autorità per regolamentare il passaggio delle navi. Quelle militari sono soggette a restrizioni ma la Turchia non è in guerra e non può bloccarle e chiudere Bosforo e Dardanelli. Perciò oggi alla riunione della Nato Erdogan sarà seduto sui carboni ardenti.

Non è più semplice la posizione di Israele dove una fetta consistente di popolazione è immigrata da Russia e Ucraina. Per settimane il governo Bennett si è mostrato neutrale pur sostenendo sotto il tavolo Zelensky. Poi martedì sera, al termine di una riunione che ha visto allo stesso tavolo il premier Bennett, il ministro degli esteri Lapid, il ministro della difesa Gantz e il ministro delle finanze Lieberman, Israele espresso sostegno all’integrità territoriale dell’Ucraina. Quindi ieri mattina Lapid ha descritto l’attacco russo «una grave violazione dell’ordine internazionale» e aggiunto che Israele «è pronto a fornire aiuti umanitari ai cittadini ucraini». Il giornalista di Axios Barak Ravid, esperto di diplomazia, ha scritto che la nuova posizione israeliana non è una conseguenza di pressioni statunitensi. I dubbi però non mancano.

Alle dichiarazioni di Lapid, la Russia ha reagito ricordando che lo Stato ebraico occupa, da decine di anni, territori arabi e affermando il suo rifiuto del controllo israeliano del Golan siriano. Tel Aviv ora teme conseguenze. Il ministro Gantz qualche giorno fa parlava di «confine russo» al nord di Israele in riferimento alla presenza di forze aeree russe in Siria e all’alleanza tra Putin e il presidente siriano Bashar Assad. Per anni e fino a oggi la Russia ha lasciato piena libertà all’aviazione israeliana – l’ultima volta martedì notte (tre, forse sei soldati siriani uccisi) – di colpire «obiettivi» in Siria. Le cose potrebbero cambiare.

 

 

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