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Turbinando con grazia la Rolleiflex nell’aria d’Africa

Turbinando con grazia la Rolleiflex nell’aria d’AfricaAkinbode Akinbiyi, «Bar Beach, Isola Victoria, Lagos, Nigeria», 2006

Intervista Il fotografo anglo-nigeriano Akinbode Akinbiyi in mostra al Gropius Bau

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 14 marzo 2020

Il suono dei passi sulla terra rossa delle strade di Bamako, in mezzo alla marcia convulsa dei taxi gialli di Lagos o nel silenzio carico di tensioni di Johannesburg, ma anche le risate contagiose dei bambini che schiamazzano sulla sabbia della costa africana che guarda l’Oceano Atlantico, come pure il riflesso dell’epressività sui muri dei quartieri multietnici di Berlino – da Wedding a Neukölln – tra incroci, indicazioni stradali e cartelloni pubblicitari. Si urla, si canta, si balla, si ride, si piange, si parla, si ascolta… nelle immagini di Akinbode Akinbiyi (nato nel 1946 a Oxford da genitori nigeriani è cresciuto a Lagos, attualmente vive a Berlino) a cui il Gropius Bau di Berlino dedica la personale Six Songs, Swirling Gracefully in the Taut Air, curata da Natasha Ginwala (fino al 17 maggio).

Il fotografo anglo-nigeriano che ha partecipato a importanti esposizioni internazionali, tra cui Africa Remix (2004), Documenta 14 (2017) e African Metropolis. Una città immaginaria (2018), restituisce quella visione caleidoscopica e trasversale di un’umanità che intercetta momenti autentici d’incertezza, che sia dolore o felicità, sempre sulla linea del divenire. Frammenti della quotidianità così com’è, senza divagazioni nostalgiche o superflue «fioriture». Anche il mare, come lo cattura il suo sguardo (nel formato quadrato del fotogramma, perché Akinbiyi usa da sempre la Rolleiflex), è uno spazio fisico che contiene elementi fluttuanti: le storie dolorose di morte e distacco sono messe da parte per lasciare posto ad altri significati, tra cui «l’essere un luogo di divertimento e aggregazione per la comunità, con i suoi segreti, le celebrazioni, il confronto tra miti antichi e moderni», come precisa la curatrice Natasha Ginwala. «I media europei insistono sull’indirizzare il tema del mare verso la tragedia del Mediterraneo, oggi luogo di morte e confini, ma bisogna anche vedere gli altri aspetti del mare».

Ognuna delle sezioni – Lagos All Roads, African Quarter, Sea Never Dry, Adama in Wonderland e Photography, Tobacco, Sweets, Condoms and their Configurations – come suggerisce il titolo stesso della mostra (in italiano «Sei canzoni, turbinando con grazia nell’aria tesa») contiene racconti singoli che diventano corali, in cui la narrazione è affidata alla relazione tra le immagini fotografiche (centinaia di foto scattate in oltre quarant’anni di attività a cui si aggiunge il nucleo di provini) e le parole, frammenti di poesie del poeta nigeriano Christopher Okigbo (1932-1967). Akinbode Akinbiyi parla di Okigbo con grande rispetto e ammirazione, trovando nelle sue parole un filo conduttore che passa per il cuore, come si vede nella citazione dei versi di Passage: «Silent faces at crossroads: festivity in black… Faces of black like long black column of ants. Behind the bell tower, into the hot garden where all roads meets: festivity in black…» (Volti silenziosi all’incrocio: festività in nero… Volti di nero come una lunga colonna nera di formiche. Dietro il campanile, nel caldo giardino dove si incontrano tutte le strade: festività in nero…).

Bisogna imparare ad ascoltare, prima ancora che vedere, per riuscire ad andare oltre l’apparenza. Lo afferma lo stesso Akinbiyi guardando dritto verso la videocamera nel cortometraggio I wonder As I wonder (2019-2020) girato tra Bamako e Berlino dall’artista visiva, regista e scrittrice Emeka Okerere.

«Volti silenziosi all’incrocio: festività in nero…» è uno dei passaggi letterari che accompagnano il visitatore in questa mostra. Qual è la relazione tra le sue fotografie e la letteratura?
Ho studiato letteratura inglese e più tardi letteratura tedesca. Avrei voluto diventare scrittore, ma infine ho scoperto la fotografia. Anche la fotografia racconta storie! Ho iniziato ad occuparmi seriamente di fotografia alla fine degli anni ’70, prima era un hobby. Il percorso espositivo è accompagnato da alcuni versi di poesie di Christopher Okipu, un poeta di grande talento e con una grande forza morto durante la guerra per l’indipendenza del Biafra.

Nel camminare attraversando paesaggi urbani di metropoli come Lagos, Johannesburg, Bamako, Dakar, Berlino, Chicago… per catturare la memoria del momento c’è un rapporto diretto tra il mondo esterno e il suo mondo interiore?
Ho iniziato a camminare prima ancora di cominciare a fotografare. Era un modo per cercare di capire il mio ambiente: cosa vedo, sento, percepisco. Sì, c’è sempre un rapporto esterno/interno e interno/esterno… proprio come in una danza. È una continua negoziazione dell’equilibrio nel cercare di capire la vita.

Quanto ai progetti, ad eccezione di «Adama in Wonderland», realizzato nel 2011-2012 a Johannesburg, tra downtown e i sobborghi, tutti gli altri sono a lungo termine e tutt’ora in corso, a partire da «Lagos All roads» e «Sea never Dry» iniziati nel 1980. Qual è il suo modo di percepire il tempo?
Il tempo è molto importante per me, perché una volta che entro in un nuovo spazio non mi fermo. È come quando si ha una relazione profonda che va avanti. Succede agli esseri umani, quando c’è un’amicizia vera non c’è un limite e la relazione continua anche quando sopravviene la morte.

A proposito di morte, la sezione «Sea never Dry » che è dedicata al mare prende il nome dalla suggestiva tomba di una donna nigeriana Agnes Nwolisa Blankson (1917-95)…
La tomba si trova nel vecchio cimitero di Lagos e il soprannome di quella signora era, come è scritto sull’epigrafe, Sea never Dry (il mare non si asciuga mai). Ho intenzionalmente accostato quest’immagine a quella dei bambini che giocano sulla spiaggia. Le mie fotografie sono indirizzate verso la ricerca dei diversi momenti in cui l’uomo si rapporta al mare, all’acqua, all’aria. L’essere umano, del resto ha un rapporto privilegiato con questo elemento: viene dall’acqua, dal liquido amniotico.

Parlando di linguaggio e tecnica, la scelta di fotografare in bianco e nero ha un significato specifico?

Il bianco e nero, insieme ai passaggi tonali del grigio – come dico sempre – sono i miei colori. Il bianco e nero è più grafico, ma non è che un’altra forma, un altro modo per vedere quello che mi circonda.

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