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Tunisia: i fondi Ue per le “riforme”

Tunisia: i fondi Ue per le “riforme”/var/www/ilmanifesto/data/wordpress/wp content/uploads/2014/10/23/25est1 tunisia 6 – Reuters

Elezioni in Tunisia 200 milioni di euro contro disoccupazione e per le istituzioni

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 24 ottobre 2014

Entusiasmo e speranza. Le immagini del voto post-rivoluzionario dell’Ottobre 2011, ripreso nell’ultimo documentario del regista tunisino Nejib Belkadhi, 7 e mezzo, dipingono una Tunisia in cui prevaleva la fiducia in uno strumento, quello elettorale, per 50 anni trasformato in vuoto plebiscito.

L’atmosfera che si respira all’uscita dal cinema di El Manar, quartiere nord di Tunisi, lascia intendere che un sequel di 7 e mezzo sarebbe sicuramente meno ironico, e che il Paese si avvicina alle urne con maggiore scetticismo e disillusione. Quanto si avvicinerà o quanto ne starà distante, potranno dirlo solamente gli scrutini. Difficile infatti ricevere una risposta affermativa alla domanda «lei andrà a votare?», ma i decenni di limitazione della libertà di espressione pesano sulla disponibilità dei cittadini a manifestare intenzioni ed interessi, lasciando aperte numerose possibilità.
Su questo sfondo, l’Unione Europea ha tentato di fare la sua parte, mettendo a sistema il pacchetto finanziario a disposizione per il 2014 e mirando a due obiettivi: rispetto delle regole e partecipazione.

Da un lato, 45 milioni di Euro in assistenza tecnica e finanziaria sono stati concessi al governo di Tunisi per sostenere il lavoro dell’Isie, l’Istanza Superiore Indipendente per le Elezioni, e dell’ente nazionale per la comunicazione e l’audiovisivo, Haica.

Dall’altro, attraverso lo strumento per la società civile, attivato a seguito delle cosiddette Primavere Arabe, si stanno affiancando le principali associazioni locali nelle campagne di sensibilizzazione al voto e alla lotta contro la compravendita dei voti.

Infine, una missione di osservazione elettorale guidata dall’Eurodeputata belga Annemie Neyts-Uytterbroeck ha il compito di analizzare, attraverso una rete di 56 esperti europei, il processo di voto da un punto di vista amministrativo, politico, giuridico e mediatico e restituire all’indomani dei due appuntamenti un rapporto di ampio respiro.
«Stiamo lavorando in stretto contatto con gli esperti europei. La nostra rete è composta da circa 4000 osservatori tunisini nel Paese e circa 350 nel resto del mondo» mi dice una responsabile della rete Mourakiboun, organizzazione non governativa per l’osservazione elettorale nata all’indomani della rivoluzione. «Siamo stati informati dai cittadini di difficoltà nel processo di registrazione alle liste, vedremo se il problema si rivelerà reale al momento del voto».

Che la stabilità sia un interesse comune nei rapporti fra Unione Europea e Tunisia, è noto da tempo, tanto da aver nutrito le principali critiche alla politica europea nel Mediterraneo durante il regime di Ben Ali. Che questa derivi da un processo democratico dovrebbe invece essere la precondizione per l’evoluzione della cooperazione ed il raggiungimento dello «statuto avanzato», titolo tanto evasivo all’interno del discorso politico Ue, quanto politicizzato per Tunisi, che lo sintetizza, sul lungo periodo, nella firma dell’accordo approfondito di libero scambio (Aleca).
Per Bruxelles, un governo stabile significherebbe anche cooperazione rafforzata nell’ambito della sicurezza e delle migrazioni. Come sta avvenendo con il vicino Marocco, nuovo «allievo modello» della regione, nell’ambito del «Partenariato per la Mobilità» firmato lo scorso marzo fra Tunisia, UE e Stati Membri, dovrebbero infatti seguire accordi bilaterali con ciascuna capitale europea, per sostanziare una dichiarazione d’intenti altrimenti politica.
Un memorandum d’intesa firmato il 22 ottobre fra le due parti porta a 200 milioni di Euro il totale degli aiuti europei a sostegno delle riforme per far fronte, soprattutto, all’altissimo tasso di disoccupazione, ma anche al consolidamento delle istituzioni e a quelle politiche di decentramento regionale considerate come indispensabili per colmare il divario fra il Nord ed il resto del Paese.
Stando al cosiddetto principio del more for more, «maggiore sostegno a fronte di maggiori risultati», leitmotiv della nuova Politica Europea di Vicinato lanciata dopo il 2011, dal risultato dell’intero processo elettorale potrebbe dipendere un aiuto economico fondamentale.

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