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Tudor Giurgiu, Nastase e la Romania che batteva l’America

Tudor Giurgiu, Nastase e la Romania che batteva l’America

Intervista Il film, presentato in questi giorni alla Festa del Cinema di Roma e nelle sale italiane a partire dall’8 novembre, porta tre firme: quella di Tudor Giurgiu, e i più giovani filmmaker Tudor D. Popescu e Cristian Pascariu, qui intervistato

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 26 ottobre 2024

Alla lista sempre più lunga di film e di serie tv che ruotano intorno al tennis, da Borg McEnroe di Janus Metz del 2017 a Challengers di Luca Guadagnino uscito all’inizio di quest’anno, si aggiunge adesso il documentario Nasty, dedicato a Ilie Nastase, giocatore rumeno celeberrimo in tutto il mondo negli anni Settanta per la sua eccezionale bravura (primo nel ranking internazionale nel 1973, vincitore a Roland Garros e agli US Open), e forse anche di più per un carattere che con un eufemismo potremmo definire esuberante, una miscela di generosità e di indisponenza quasi inconcepibile nei nostri tempi almeno superficialmente corretti.

Il film, presentato in questi giorni alla Festa del Cinema di Roma e nelle sale italiane a partire dal1’8 novembre, porta tre firme: quella di Tudor Giurgiu, tra i più registi rumeni più noti anche fuori dal paese, autore lo scorso anno del lacerante Libertate sul tragico caos che ha accompagnato la caduta di Ceausescu e la cosiddetta «rivoluzione del 1989» (« ma – dice Giurgiu – fra i due film non c’è un collegamento, a Libertate ho lavorato per oltre sei anni, Nasty è arrivato dopo, ma come a volte capita, le cose si sono mosse più rapidamente in termini di finanziamenti e ricerca»), a cui si affiancano i più giovani filmmaker Tudor D. Popescu e Cristian Pascariu. Ed è appunto a Pascariu che abbiamo rivolto alcune domande su Nasty, titolo double-face che si può leggere come un diminutivo di Nastase e per il suo significato inglese di «villano» o «maleducato».

In realtà, molte battute di Nastase che sentiamo nel documentario, soprattutto quelle rivolte a Ion Tiriac, suo partner di doppio e in qualche misura suo mentore, sembrano rientrare nell’ambito di un certo umorismo tipicamente rumeno.
Sì, è vero, il nostro sense of humor è molto particolare, cupo e pungente allo stesso tempo, con una venatura assurda, e questo appare evidente negli scambi tra Ilie e Ion. Ion può sembrare molto serio, ma se lo si conosce, si percepisce il suo spirito sarcastico, in particolare nei confronti di Ilie. Li senti parlare, e potresti pensare che litigano, ma ti accorgi che in realtà stanno scherzando. Credo che da fuori non sia sempre facile capire: possiamo ridere molto per le battute scurrili e apprezzare un nonsense di tipo britannico.

Pensa che questo abbia influito sul successo di Nastase negli anni ’70 anche fuori dai campi da tennis?
Credo che Nastase venisse soprattutto percepito come un personaggio curioso: veniva da dietro la cortina di ferro ed era esplosivo, carismatico, divertente. Gli occidentali e in particolare gli americani non sapevano classificarlo, ed era questa sua ambivalenza, questa sua imprevedibilità, a renderlo affascinante. Quando c’era Ilie in campo, sapevi che a un certo punto poteva succedere qualcosa, e questo creava un elemento costante di sorpresa e di tensione.

Da come emerge nel documentario, il rapporto di Nastase con Tiriac pare la versione contemporanea di certe amicizie degli eroi antichi, violenti e generosi.
Mah, descrivendo Ilie e Ion non abbiamo pensato agli eroi antichi, ma è vero che tra loro c’è una relazione emotiva: voglio dire, Ion non sarebbe così famoso senza Ilie, e Ilie non sarebbe arrivato dove è arrivato senza Ion. E nella Romania degli anni ’70, per ogni bambino loro erano la coppia di potere del tennis, quelli a cui ci si ispirava.

Se non sbaglio, Tiriac ha contribuito al finanziamento del documentario. Lui e Nastase hanno cercato di influenzarvi?
Assolutamente no, entrambi hanno visto il film solo quando è finito, a una proiezione con più di duemila persone, e come sempre ci hanno scherzato: «Siamo venuti alla tua veglia funebre», ha detto Ion a Ilie, e Ilie ha ribattuto: «Se è la mia, è anche la tua». E Nastase fin dall’inizio ci ha detto: «So quello che ho fatto, non ho rimpianti, perlomeno rimpianti da condividere in pubblico, quindi potete fare come volete».

Lei ha parlato prima della cortina di ferro. In che misura la vicenda di Nasty si intreccia con quella della Romania di Ceausescu?
Anche se negli anni ’70 il clima del paese era più rilassato rispetto a quello che si era vissuto in precedenza e si sarebbe subìto, negli anni ’80, non possiamo dimenticare che tutta la carriera di Nastase si è svolta nel periodo del regime comunista e che anche in quel decennio più «mite», quando tornavi per esempio da un periodo all’estero, dovevi riconsegnare il tuo passaporto. E in generale, l’atmosfera era quella, esprimere idee diverse da quelle del governo sarebbe stato impossibile. Nel caso di Nastase, a quanto pare, non c’era un vero e proprio dossier della Securitate su di lui, probabilmente perché sapevano che se gli avessero messo un guinzaglio, sarebbe esploso e sarebbe stato ancora peggio. D’altra parte, lui si limitava a giocare a tennis, quello che amava più di tutto era lo sport e della politica non si preoccupava troppo.

D’altra parte, però, voi avete fatto una scelta di montaggio interessante: verso la fine del film vediamo il vecchio Ceausescu tenere nel dicembre 1989 il suo ultimo discorso dal balcone del palazzo del comitato centrale e poi la folla, gli spari, le dichiarazioni di Năastase portavoce all’estero di una Romania infine liberata, e subito dopo, in una sorta di rapidissimo flashback, torniamo indietro, al 1972, quando Năastase ritira un premio molto ufficiale per meriti sportivi.
Sì, abbiamo scelto di giustapporre due momenti-chiave, l’avvenimento più importante nella storia recente della Romania, la caduta del regime nel 1989, e il 1972, l’anno in cui la Coppa Davis si è giocata a Bucarest, un episodio centrale nella carriera di Ilie e anche nella storia del paese, perché rispecchia la lotta contro gli Stati Uniti, una certa mentalità da «Romania batte America», che a quel tempo era molto viva.

Sono passati trentacinque anni dalla cosiddetta rivoluzione del 1989 e la Romania è membro dell’Unione Europea dal 2007. Come spiega che molti film rumeni contemporanei (non penso solo a «Nasty» o a«Libertate», ma anche a gran parte dell’opera di Radu Jude, per esempio) si concentrino ancora sul periodo del regime di Ceausescu?

Il passato pesa ancora: il regime è durato a lungo, e soprattutto ci sono tante storie importanti di quegli anni che non sono state raccontate. Pensiamo proprio a Nastase, per esempio: è stato un personaggio larger than life, una star, uno sportivo famoso in tutto il mondo e un protagonista nella vita della Romania, eppure un film su di lui non era ancora stato fatto. Quindi potremmo dire che adesso stiamo recuperando un’opportunità che in precedenza non avevamo avuto, che stiamo elaborando un periodo di cui ancora molto è rimasto nell’ombra.

Lei ha detto che Nastase è stato un personaggio particolarissimo, larger than life. Pensa che una figura come la sua potrebbe emergere in Romania o altrove anche oggi?
In un certo senso Ilie è un caso speciale, una figura unica, anche perché si comporta oggi come faceva cinquant’anni fa. Allora provocava con le parole e i comportamenti il tennista nero Arthur Ashe tanto da spingerlo a abbandonare il campo e in anni recenti ha detto cose inappropriate su Serena Williams, episodi a cui abbiamo dato spazio in Nasty, perché servono a far capire meglio il personaggio, così come era importante mettere in luce anche la sua grande generosità. Non credo che comportamenti come i suoi sarebbero ammissibili da parte di uno sportivo di oggi, ma quello che posso dire è che Ilie è rimasto uguale, mentre il mondo cambiava intorno a lui. E per quanto io per tanti versi lo apprezzi, penso sia un bene che il mondo sia cambiato.

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