Cultura

«Tua figlia Anita», l’orientamento dentro una perdita

«Tua figlia Anita», l’orientamento dentro una perdita

NARRATIVA / 2 A proposito del romanzo di esordio di Paolo Massari, edito da Nutrimenti

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 19 gennaio 2024

«Troppo poco si è riflettuto su ciò che, dei morti, resta davvero vivo, disperso negli altri; e non si è escogitato alcun metodo per alimentare quei resti dispersi e mantenerli in vita quanto più a lungo possibile». Sono perfette queste parole di Elias Canetti dal Libro contro la morte (Adelphi 2017) per il toccante romanzo d’esordio di Paolo Massari, Tua figlia Anita, (Nutrimenti, pp. 176, euro 17): «Parlare di Anita potrebbe essere più facile adesso. L’assenza permette di barare, di fare aggiustamenti. Anzi, forse dare una mano di bianco è il dovere di chi resta».

Eppure, come osserva Canetti, «affinché il morto, nella sua impalpabilità, continui a vivere bisogna consentirgli di muoversi»: «conservarlo nell’ambra» è solo un modo per renderlo inoffensivo, come scrive Massari: «il grande condono dei sopravvissuti». Per parlarci di Anita Bellucci, di anni 50 e della quale si è appena celebrato il funerale, Giacomo Magri, marito e voce narrante del romanzo, sceglie il suocero come interlocutore: a lui, Luigi Bellucci, si rivolge, con un tono decisamente recriminatorio e sarcastico, il possessivo del titolo, il tu che scandisce i ricordi e le riflessioni di Giacomo, conferendo al romanzo un ritmo tutto particolare: «La migliore delle tue figlie, comunque, era la mia Anita. La più intelligente, e la meno stronza».

ATTORNO a queste due figure maschili si muovono la madre, le sorelle, il nipote, i cognati: le costellazioni familiari che si radunano per le grandi occasioni intorno a un tavolo di un ristorante, pronte a far tintinnare i bicchieri prima di prendere parola, come accade in Festen, il film di Thomas Vinterberg. Di fronte alla scena della morte la vita ostenta sempre la sua oscenità: «La verità, caro signor padre di mia moglie, è che noi siamo come i parenti dell’ebreo, siamo tutti qui perché è morta Anita. Eppure non lo diresti, fidati. Il nostro tavolo è uguale agli altri. Si mangia, e si scherza, come se niente fosse. Per certi versi è un po’ osceno ma tutta la vita intorno procede quasi sempre senza badare ai morti». La verità, vi prego, sulla morte (o su Anita) si potrebbe dire capovolgendo la poesia di Auden. Ma quale verità? I morti hanno sempre più vite: le loro vite da figli, fratelli, amici, amanti. Le loro vite con noi ma anche prima di noi.

SEMPRE DI PIÙ Giacomo nutre il racconto di Anita di voci, segreti, verità, bugie, e sebbene sia lui a orchestrarle, lascia spazio ai dubbi e alle contraddizioni. La tensione narrativa iniziale allora si allenta, il tono del racconto si addolcisce, pervaso com’è da una struggente malinconia: «La leggerezza, gli attimi in cui ci siamo permessi di sentire, di vederci, li archiviamo sempre chissà dove, in uno spazio difficile da raggiungere», a cui però Massari riesce ad attingere per raccontare la perdita con una prosa senza infingimenti, eppure delicata.

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