Trung Le Nguyen, fumetti oltre l’oceano arcobaleno
All’esordio negli Usa come autore unico, con il suo Magic Fish – Le storie del pesce magico (Tunué, 256 pagine a colori, €19,90), il trentaduenne Trung Le Nguyen ha fatto incetta di riconoscimenti: due premi Harvey come libro dell’anno e miglior libro young adult, più la palma di miglior pubblicazione dell’anno per New York Public Library,
Kirkus Reviews e Publishers Weekly. Non male per un fumetto creato dall’autore di origine vietnamita in circostanze casuali. «Avendo sempre avuto la passione per l’arte, l’ho studiata anche all’università, che mi aveva poi offerto uno stage come ricercatore in ambito artistico presso la Minnesota Historical Society», spiega «Trungles» durante la presentazione milanese del volume presso la storica Libreria dei ragazzi e delle ragazze.
«MENTRE ero lì, i dirigenti del museo hanno cominciato a litigare tre di loro, così ho perso il mio posto da stagista. Ritrovandomi con molto tempo libero e un sacco di preoccupazioni per la testa, mi sono messo a disegnare per rilassarmi… ma quando ho postato i miei lavori sui social ho ricevuto grandi incoraggiamenti, sia dai miei follower ma da colleghi ben più introdotti di me. Questo mi ha convinto a ‘provarci’ sul serio». Data la passione dell’autore per le fiabe, usate come grimaldello per imparare l’inglese e ambientarsi negli Usa, in origine il progetto sarebbe dovuto essere un’antologia di racconti ispirati a popolari fairytales come Cenerentola e La Sirenetta. «Quando però ho sottoposto il tutto ai miei editor, mi hanno chiesto un punto di vista più coinvolgente e personale. A quel punto ho realizzato che le fiabe su cui mi stavo concentrando avevano in comune il fatto di parlare di personaggi che vivono mutamenti radicali, il che mi ha riportato alle mie esperienze di migrante e al mio coming out».
Le ‘fairytales’ sono ambigue e difficili da contestualizzare su un piano morale. Quelle su cui mi sono concentrato avevano in comune il parlare di mutamentiTrung Le NguyenNe è nato un volume davvero unico anche nel panorama ormai piuttosto frizzante dei fumetti queer, un romanzo a fumetti che è contemporaneamente un racconto semiautobiografico sulla ricerca di un’identità, e insieme un pastiche di citazioni che mescolano i «figurini» di Givenchy e Dior, i fantasmi cinesi del cinema di Tsui Hark, le coreografie di Margot Fontaine, le illustrazioni del leggendario Arthur Rackham… il tutto senza dimenticare gli autori europei, «in particolare autori italiani straordinari come Sergio Toppi, Sara Pichelli e Manuele Fior». Spiega Le Nguyen: «In realtà, il punto è che ognuno dei mondi narrativi che ho travasato nella storia serviva a delineare con maggior vivacità e precisione il carattere di tutti i personaggi del volume. La compresenza di stilemi e reference diverse è a tutti gli effetti un aspetto della vita di tutti questi personaggi, oltre che della mia, ovviamente». Su tutto, un forte sottotesto politico legato a temi come la faticosa conquista della cittadinanza americana e i diritti Lqbtq+.
«MA LA MIA priorità era quella di raccontare la storia dal punto di vista dei protagonisti del libro, non di far sì che i migranti o le esperienze Lgbtq+ si traducessero in sermoni ideologici nei confronti del lettore», continua Le Nguyen. «L’immigrazione, per esempio, è un pretesto per raccontare il peso della burocrazia e il senso di sradicamento nella vita quotidiana dei personaggi, così come il coming out del protagonista Tién prende forme totalmente diverse nei rapporti distesi con gli amici e in quelli più complessi con i genitori». Pronti però a dimostrarsi molto più aperti di quanto temesse «Trungles» di fronte alla consapevolezza di un figlio gay e non-binario. «Data la loro scarsa dimestichezza con la lingua e i costumi degli Usa, almeno inizialmente i miei genitori hanno faticato a capire esattamente di cosa stessi parlando.
Ma anche se sto per fare una confessione che da un punto di vista puramente narrativo non contiene quel minimodi conflitto in grado di muovere una storia, dal primo momento in cui ho deciso di confrontarmi con loro mi hanno accettato e sostenuto apertamente senza difficoltà. Una reazione che semmai si è rivelata difficile da digerire per il mio pubblico più ‘militante’, visto che alcuni lettori mi hanno contestato quest’approccio per così dire ‘rilassato’ temendo che stessi alterando i fatti o che non fossi abbastanza combattivo». Il flusso di coscienza condiviso tra i personaggi principali del libro d’altronde stempera ogni «statement» apertamente conflittuale attraverso il filtro di una narrazione fantastica che rende la lettura scorrevole senza rinunciare a qualche salutare digressione nel perturbante. «Il bello delle fiabe è che rispetto alle favole sono più ambigue e difficili da contestualizzare su un piano puramente morale: se pensi alle storie più cupe, sono nate come racconti orali da condividere intorno ai falò, per poi cristallizzarsi in forme più digeribili e prive di ogni autentico potenziale eversivo. In più, le fiabe sono uno strumento narrativo molto duttile, sempre fedele a se stesso anche con tutte le piccole modifiche per così dire ‘cosmetiche’ cui vengono sottoposte in Paesi e contesti diversi… Il che le rende vere e proprie cartine di tornasole per individuare affinità, divergenze e legami tra culture apparentemente agli antipodi». Completa il testo un segno raffinato e minuzioso che combina in modo assolutamente unico e convincente la piacevolezza del fumetto asiatico e la agile grammatica visiva del fumetto a stelle e strisce. Anche nell’ambito puramente tecnico, c’è una piccola storia dentro la storia, con il passaggio dell’autore dalla tecnica tradizionale a quella digitale in corso d’opera.
La mia priorità era quella di raccontare la storia dal punto di vista dei protagonisti del libro, evitando che i migranti o le esperienze Lgbtq+ si traducessero in ‘sermoni’
«INIZIALMENTE, avevo approcciato il lavoro utilizzando tecniche e supporti tradizionali: carta, matita e china. Man mano che il lavoro procedeva e le date di consegna del volume all’editore americano Random House si facevano più pressanti, mi sono reso conto di quanto tempo ed energie occorressero per passare dal bozzetto a matita al disegno a china, per poi passarlo dentro lo scanner e preparare le immagini da inviare all’editor». A quel punto, come annotato minuziosamente dall’autore nel frontespizio del volume, non è rimasto che passare al digitale. «Ho iniziato a utilizzare un tablet per le ultime sessanta pagine del volume, inizialmente con un po’ di difficoltà, poi via via sempre più velocemente». Un rodaggio che nella lettura non si percepisce affatto. Come tutti gli esordienti «col botto», non appena buttata la testa fuori dal guscio Le Nguyen è stato subito cooptato dalle major. «Ma al di là del fatto che non amo parlare dei progetti in corso per scaramanzia, non capisco proprio come mai big come DC Comics e Marvel abbiano pensato a me per scrivere e disegnare storie sui supereroi. Nel frattempo, mi sono ritagliato uno spazietto come illustratore per un volume scritto da un caro amico». Perché il mainstrem ha le sue regole, ma il fumetto d’autore o è slow, o non è.
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