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Trump non si dà per vinto, grandi elettori sotto assedio

Trump non si dà per vinto, grandi elettori sotto assedio

Stati Uniti Riunioni in luoghi lontani o segreti per le minacce. In Michigan la protesta è armata

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 15 dicembre 2020

I membri del collegio dei 538 grandi elettori si sono riuniti ieri in tutti e  50 gli Stati per dichiarare ufficialmente Joe Biden il vincitore delle elezioni presidenziali del 2020. Il primo a riunirsi è stato il Vermont, dove i tre rappresentanti hanno votato per Biden e Kamala Harris, seguito da Indiana, New Hampshire e Tennessee.
Molti Stati hanno deciso di trasmettere la procedura in diretta streaming, come gli Stati in bilico decisivi per la vittoria dei democratici, Pennsylvania, Georgia, Michigan e Wisconsin. Nelle settimane dopo il voto Donald Trump aveva provato con ogni mezzo possibile a ritardare la certificazione dei risultati negli Stati contestati, in modo da spingere i parlamenti locali della maggioranza conservatrice a nominare grandi elettori fedeli a lui. I tentativi non sono approdati a nulla: mentre i grandi elettori votavano, la Corte suprema del Wisconsin ha negato, per la seconda volta questo mese, lo sforzo di Trump di invalidare più di 200mila voti nei due maggiori bastioni democratici dello Stato.

Quello che si è svolto ieri è un processo di norma puramente formale, diventato quest’anno straordinario per via dei tentativi di Trump di rovesciare il risultato elettorale. Non c’erano dubbi sul risultato finale del voto dei grandi elettori, ma ciò non ha dissipato la tensione accumulata nelle ultime settimane. Gli elettori di alcuni Stati hanno dovuto deliberare in condizioni di massima sicurezza, a volte in luoghi fuori mano o, nel caso dell’Arizona segreti, per via delle minacce ricevute per aver semplicemente svolto il loro dovere costituzionale.

ln Michigan la capitale dello Stato ha chiuso formalmente gli uffici legislativi a causa di «minacce credibili di violenza» ricevute mentre i grandi elettori di Biden si preparavano a riunirsi lì, nel pomeriggio. Un rappresentante repubblicano dello Stato, Gary Eisen, in un’intervista radio ieri mattina aveva dichiarato che il suo partito stava pianificando una sorta di strategia vincente per annullare la vittoria di Biden che «sarebbe arrivata su tutti i media più tardi». Si è poi rifiutato di escludere l’uso di violenza, sostenendo che le manifestazioni non possono essere che violente.
Il partito si è immediatamente espresso e i leader del Gop del Michigan lo hanno sollevato dei suoi incarichi in commissione, ma tutto questo rende l’idea dell’atmosfera in cui si è svolta quella che solitamente è una noiosa procedura burocratica di cui cittadini americani non si accorgono nemmeno. L’attenzione, invece, ieri era altissima e quando i sei Stati in cui Trump ha contestato la sua sconfitta (Nevada, Arizona, Georgia, Pennsylvania, Wisconsin e Michigan) hanno espresso il loro voto elettorale per Biden, c’è stato un respiro si sollievo.

«Spero che possiate vedere il mio sorriso dietro questa mascherina», ha detto il presidente del Partito democratico della Pennsylvania Nancy Mills.
In mezzo alle pesanti misure di sicurezza, il governatore del Michigan Gretchen Whitmer ha dichiarato che «questa è stata davvero un’elezione storica durante la peggiore crisi di salute pubblica che abbiamo visto»  e ha elogiato il segretario di Stato locale, il democratico Jocelyn Benson, i funzionari statali e i lavoratori elettorali per «averci assicurato un’elezione giusta e accurata. Ora è arrivato il momento di andare avanti, semplicemente come uno degli Stati degli Stati uniti d’America».

Intanto fuori il Congresso del Michigan un gruppo di elettori repubblicani che contestavano le elezioni, veniva allontanato dalla polizia per evitare che entrassero, armati, come era già accaduto qualche settimana fa. Quella del Michigan, mentre scriviamo, è la piazza più tesa, e mentre gli sforzi di tutti sono tesi a mantenere la situazione sotto controllo, su Twitter Trump continua a soffiare sul fuoco parlando di frodi che possono cambiare il corso dei eventi. Per Trump, il voto del Collegio elettorale segna probabilmente la fine del suo sforzo legale per rimanere al potere, tuttavia il suo team di avvocati e i suoi alleati più fedeli già parlano di continuare il loro contenzioso, anche con la consapevolezza che il voto del Collegio elettorale è una pietra miliare cruciale ed essenzialmente irreversibile, indicando che comunque la campagna di delegittimazione andrà avanti fino al 6 gennaio.
In quella data Camera e Senato si riuniranno per prendere atto della comunicazione del Collegio Elettorale e nominare ufficialmente il nuovo presidente. Un gruppo di deputati repubblicani, di cui non si conosce il numero, cercherà di disturbare la comunicazione e impedirne lo svolgimento che finora è sempre stato solo una formalità solenne, mettendo in seria difficoltà il vicepresidente repubblicano, Mike Pence.

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