Trump, l’uomo della palude
Verità nascoste Le pratiche di comunicazione politica che fondano il loro successo sull’influenzamento mentale attecchiscono in un funzionamento psichico collettivo incline all’agire compulsivo e agli automatismi
Verità nascoste Le pratiche di comunicazione politica che fondano il loro successo sull’influenzamento mentale attecchiscono in un funzionamento psichico collettivo incline all’agire compulsivo e agli automatismi
Donald Trump è un calcolatore esaltato: il suo gioco d’azzardo non è finalizzato a far saltare il banco, ma a creare le condizioni di un proprio vantaggio psicologico preliminare. Ha fatto dell’eccitazione, una droga contro la sua tendenza a deprimersi, un lavoro organizzato, molto remunerativo. La sua affermazione ha una solida base nella sua capacità di promuovere la domanda e lo smercio di effetti antidepressivi. Né la domanda né lo smercio li ha creati lui (sono espressione di un processo anonimo della società capitalista), ma nel riflettere la loro logica nel modo più acritico e efficace, egli si costruisce una leadership del tutto plausibile e coerente.
In una sua intervista, il linguista statunitense George Lakoff ha attribuito a Trump un talento per le iperboli e le provocazioni. Secondo la sua prospettiva, il candidato repubblicano usa metafore potenti in grado di attivare schemi mentali già esistenti nella mente degli elettori, in particolare coloro a cui si rivolge in modo privilegiato.
Le pratiche di comunicazione politica che fondano il loro successo sull’influenzamento mentale, fanno storicamente parte della manipolazione psicologica delle masse. Attecchiscono in un funzionamento psichico collettivo incline all’agire compulsivo e agli automatismi. Si possono prevedere con esattezza i comportamenti umani solo attraverso l’identificazione con i meccanismi che li rendono schematici. I manipolatori sono gli agenti di un processo di alienazione che li ha resi per primi soggetti alienati. Sia gli studiosi degli schemi mentali sia i politici che diventano loro “utilizzatori finali”, agiscono all’interno di una prospettiva prodotta da un modo schematico di ragionare.
La “coazione a ripetere” che domina la scena attuale della vita collettiva è il risultato di un processo degenerativo che colpisce i tre pilastri fondamentali di una convivenza sociale sana e creativa: lo spazio potenziale dell’esperienza, il rapporto positivo, vitale con il tempo e l’eguaglianza dei contraenti all’interno delle relazioni di scambio.
La capacità di andare oltre un’esistenza puramente adattativa alle circostanze del nostro ambiente (la qualità in cui gli esseri umani maggiormente si differenziano dal resto del mondo animale), è basata sulla possibilità di sospendere l’effettività dell’azione immediata, reattiva, causata dall’urgenza dei nostri bisogni. L’azione acquista in questo modo uno statuto sperimentale, che le consente di essere misurata e prefigurata nelle sue potenzialità nello spazio dell’immaginazione.
La sospensione dell’effettività dell’azione è strettamente collegata al tempo della sospensione, sedimentazione del giudizio (epokè), senza il quale il tempo lineare, tempo del cambiamento e del lutto (chronos), perde il suo ancoraggio nell’elaborazione, trasformazione dell’esperienza. Ne fa le spese il tempo opportuno (kairòs), il momento dell’azione giusta.
Il legame tra lo spazio di sperimentazione, immaginazione dell’azione e l’agire trasformativo che coglie il momento giusto, è intrinsecamente correlato alle differenze tra gli esseri umani, alla molteplicità delle declinazioni della loro esperienze senza la quale la loro esistenza si appiattisce in una serie di reazioni automatiche. Le differenze se non entrano in rapporto di scambio tra di loro (il che implica conflitto, contrattazione e pari dignità delle parti) si trasformano in diversità che si ignorano e le relazioni umane diventano una palude. Nella palude c’è chi affonda in silenzio e chi si agita. I personaggi come Trump ci sguazzano. Gli impaludati li scambiano per nuotatori esperti.
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