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Trump insiste: sugli attacchi alle petroliere c’è la firma dell’Iran

Trump insiste: sugli attacchi alle petroliere c’è la firma dell’IranUna delle petroliere colpite – AFP

Golfo Gli Usa diffondono filmato che mostrerebbe membri della Guardia rivoluzionaria iraniana che rimuovono una mina inesplosa dallo scafo di una delle navi colpite giovedì. Tehran parla di complotto: gli attacchi non sono mai avvenuti

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 15 giugno 2019

Ai microfoni di Fox News Donald Trump ha pronunciato una dichiarazione “preliminare” di guerra all’Iran. Il presidente americano non ha dubbi. I presunti attacchi di giovedì contro due petroliere nel Golfo dell’Oman portano la firma dell’Iran, sostiene il presidente americano. Lo conferma, ha aggiunto Trump, il video diffuso dal Comando Centrale degli Usa nel Golfo, che mostrerebbe una motovedetta dei Guardiani della Rivoluzione iraniana che si avvicina a una delle due navi, la Kokuka Courageous, per rimuovere, secondo la Casa Bianca, alcune mine inesplose. «Siamo sicuri, hanno condotto (l’attacco), Una delle mine non è esplosa ed è di fabbricazione iraniana», ha affermato Trump. Giovedì ad addossare la responsabilità all’Iran era stato il segretario di Stato, Mike Pompeo. Al momento non si può escludere alcuna ipotesi sull’accaduto. Certo è che il filmato di Trump, con le presunte prove del coinvolgimento di Tehran, ricorda molto la “certezza” del possesso di armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq, mostrate all’Onu il 5 febbraio 2003 dall’allora segretario di Stato Colin Powell per giustificare la guerra distruttiva che qualche settimana dopo Usa e Gb avrebbero lanciato contro l’Iraq. Un anno più tardi a Meet the Press, Powell ammetterà che l’amministrazione di George W. Bush aveva ingannato il mondo affermando che l’Iraq di Saddam Hussein usava laboratori mobili per produrre armi biologiche.

Sedici anni dopo sembra riprovarci l’Amministrazione Trump. Nonostante sia tutto ancora così fumoso. Gli Usa parlano di mine (iraniane) ma dagli equipaggi delle due navi non è ancora emersa una versione chiara sull’accaduto. La compagnia petrolifera taiwanese Cpc Corporation che ha noleggiato la Front Altair, dice che la nave è stata colpita da un siluro e che l’equipaggio ha udito tre deflagrazioni. Quelli della Kokuka Courageous hanno parlato prima di colpi di artiglieria e poi di «qualcosa che si è avvicinato in volo verso di loro» e che «c’è un’alta possibilità che siano stati attaccati da proiettili volanti» e non da un siluro.

Chiamata in causa Tehran dubita che le petroliere siano state attaccate. «Il fuoco nella prima nave è iniziato dal ponte di mezzo, mentre nella seconda un piccolo incendio è cominciato da una centrale elettrica, quindi è improbabile che ci sia stato un attacco di oggetti volanti…gli esami preliminari mostrano che nulla ha colpito le navi. Potrebbe essere stato un problema tecnico», ha detto il direttore generale dell’autorità portuale dell’Hormuzgan, Allahmorad Afifipour, che sta seguendo l’inchiesta.

Comunque sia andata, il rischio che gli Usa scatenino una guerra nel Golfo è sempre più alto. E l’Iran sente il bisogno di stringere i rapporti con un alleato fondamentale, la Russia. Il presidente Hassan Rohani, in reazione dall’aggressività americana e spinto dalle pressioni interne, ha dovuto abbandonare, in parte, gli abiti del leader moderato. «Vista la notevole pressione straniera e le sanzioni che vengono introdotte, la necessità di cooperazione tra gli Stati regionali, inclusi i nostri, diventa ogni giorno sempre più forte», ha esortato Rohani incontrando il presidente russo Vladimir Putin a margine del summit del Gruppo di Shanghai a Bishkek (Kirghizistan). Poco prima Rohani aveva avvertito che la resistenza di Iran e Cina nei confronti degli Stati Uniti è nell’interesse dell’Asia e del mondo.

Fondamentale sarà lo sviluppo del dibattito interno in Iran: trattare o andare allo scontro con Washington? Che poi è il tema del braccio di ferro che va avanti da quattro anni tra i moderati sostenitori della firma dell’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano, e quelli che condividono le parole della guida suprema Ali Khamenei che ripete che degli Usa non bisognava fidarsi. Prende quota perciò la proposta di far scegliere direttamente agli iraniani con un referendum se restare nell’intesa. E c’è da tenere d’occhio la scadenza, tra tre settimane, dell’ultimatum dell’Iran agli europei per l’avvio di Instex, il sistema per proseguire i rapporti economici con Tehran aggirando le sanzioni Usa. Altrimenti Tehran riprenderà a ritmo sostenuto l’arricchimento dell’uranio.

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