Internazionale

Trump incombe sulla Cop29, accordo di Parigi a rischio

Attivisti durante una manifestazione a Washington,per chiedere più finanziamenti per il clima ed energia pulita foto di Kevin Wolf/ApMarcia degli attivisti per il clima a Washington – Ap

Previsioni del tempo La conferenza sul clima di Baku, in Azerbaijan, si apre lunedì tra defezioni importanti - assenti tra gli altri Biden, Modi, Trudeau e von der Leyen -, accordi sui pozzi di petrolio e frattura tra Nord e Sud del mondo. Mentre il prossimo presidente americano avrebbe già pronte le carte per far uscire gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 10 novembre 2024

Cop29 inizia con cupezza. Il ventinovesimo round negoziale sul contrasto al riscaldamento globale promosso dalle Nazioni Unite apre le porte domani nella capitale azera Baku. Le agenzie battono da giorni gli annunci relativi alle defezioni dei più importanti leader globali, mentre la vittoria elettorale del negazionista climatico Donald Trump incombe come uno spettro su tutto il processo. Ma i negoziatori hanno un solo vero tema di cui parlare: i soldi. Non arriveranno annunci eclatanti su altri dossier da queste due settimane, e sul tema della finanza andrà valutato il successo o il fallimento della Conferenza.

FACCIAMO UN PASSO indietro. L’agenzia Reuters, citando fonti del New York Times, ha fatto sapere due giorni fa che l’equipe di Trump avrebbe già pronte le carte per far uscire gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi – la più importante intesa globale sul contrasto alla crisi climatica. Non è una notizia inattesa: già durante il suo primo mandato il tycoon prese la stessa decisione. Quella volta, però, si convinse quasi alla fine del quadriennio, e i democratici rientrarono nell’Accordo appena riconquistata la Casa Bianca. Stavolta Trump ha la possibilità di tirare fuori il secondo emettitore globale fino ad (almeno) il 2028.

Va detto che Cop29 non navigava comunque in acque tranquille. Non solo la Conferenza del 2015, ma anche la Cop26 di Glasgow del 2021 appare lontanissima. Oggi è la guerra a occupare le menti dei leader globali. La sintesi l’ha offerta, involontariamente, la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen. Rispondendo a una domanda poche settimane fa, ha spiegato che nella formazione della sua seconda squadra di governo il criterio chiave non è stato il clima, ma «sicurezza e competizione». Ovvero, guerra contro la Russia e dazi contro la Cina.

Un disinteresse globale che si riflette nel lungo elenco di defezioni. Non sorprende l’assenza di Xi Jinping e Vladimir Putin. Ma dall’elenco dei presenti mancano anche lo statunitense Joe Biden, l’indiano Narendra Modi, il canadese Justin Trudeau. A sorpresa non ci sarà nemmeno Ursula Von Der Leyen. Discorso a parte per Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Il primo non parteciperà, si legge sulla stampa europea, anche in polemica con il governo azero che ospita i colloqui.

La Francia è infatti il maggior alleato europeo dell’Armenia, nemico storico dell’Azerbaijan. Il secondo aveva invece previsto di partire alla volta di Baku, ma ha deciso di rimanere a Berlino per via della crisi che ha investito la sua coalizione di governo. Tra le poche presenze che parrebbero certe, tra i leader di peso dello scenario globale, rimarrebbero il leader britannico Keir Starmer, lo spagnolo Pedro Sánchez, il turco Recep Tayyip Erdogan. Anche Giorgia Meloni dovrebbe esserci, mentre il brasiliano Lula Ignacio da Silva non può volare a causa di una piccola emorragia cerebrale, ma potrebbe parlare tramite video.

I PADRONI DI CASA ci hanno messo del loro per abbassare le aspettative. Elnur Soltanov, uno dei massimi dirigenti della macchina negoziale, è stato filmato segretamente da un gruppo di attivisti sotto copertura mentre usava il suo ruolo per mercanteggiare accordi su nuovi pozzi petroliferi. Il 90% delle esportazioni azere consistono in idrocarburi – molto del loro gas arriva ad esempio in Italia – e la scelta di prendersi la presidenza di Cop29 si inserisce nella linea da anni adottata dai petrostati: impadronirsi dei negoziati per sabotarli. Tutti segnali che lasciano intendere come il problema non sia certo solo Trump: anche con una Kamala Harris vincente il meccanismo delle Cop sarebbe stato in piena crisi.

QUESTA SFILZA di cattive notizie ha fatto sì che il mondo ecologista assista con disincanto all’incontro di Baku. Ma non è detto che il summit si concluda con un nulla di fatto. Tutti i ragionamenti sui nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni sono rimandati a Cop30, che si terrà l’anno prossimo in Brasile – un vertice su cui Lula sta investendo moltissimo.

A Baku il vero e unico tema di rilievo sarà il New Collective Quantified Goal (Ncqg). Ovvero, la nuova cifra che i paesi ricchi promettono di stanziare per permettere la transizione nel cosiddetto Sud globale. Il vecchio obiettivo di 100 miliardi di dollari l’anno era stato concordato nel 2009 e raggiunto, a fatica, nel 2022. Oggi i più ambiziosi tra i paesi in via di sviluppo puntano a decuplicare il numero: 1.000 miliardi di dollari l’anno. Il mondo industrializzato farà di tutto per far sì che gli impegni siano quanto più vaghi e laschi possibile. Su questa frattura Nord-Sud si giocherà l’intero negoziato. E se è vero che la lotta per il clima è sempre più orfana a livello di governi, il multipolarismo appare invece in forze.

COP29 POTREBBE essere un’occasione per Pechino di rinforzare la sua immagine di protettrice del mondo non-occidentale. L’autorevole testata statunitense Politico scriveva solo pochi giorni fa che «la Cina, il più grande inquinatore di carbonio al mondo, è sotto molti aspetti la principale ragione per essere ottimisti. Il dominio della Cina su veicoli puliti, batterie, catene di approvvigionamento minerarie e altre tecnologie rispettose del clima ha stimolato una corsa internazionale delle grandi potenze per costruire tali industrie. La nuova presidente del Messico, Claudia Sheinbaum, è una climatologa. Il presidente colombiano Gustavo Petro sta parlando con altri leader latinoamericani di un’economia futura senza combustibili fossili».

In uno scenario poco incoraggiante, con Europa e Stati Uniti che svoltano sempre più a destra, le notizie migliori potrebbero insomma venire fuori dall’Occidente.

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