Eravamo abituati a vederlo scorrazzare su piste da sci e in pasticceria: M20, orso bruno marsicano comunemente chiamato Juan Carrito dal nome di un paese dell’aquilano, è morto nel tardo pomeriggio di lunedì, investito da un’auto lungo la SS17 all’altezza di Castel di Sangro, sulla stessa strada tristemente nota per aver già causato la morte di una femmina di orso nel 2019. Il giovane alla guida del veicolo e la sua fidanzata sono fortunatamente rimasti illesi nell’impatto, ma Juan Carrito, uno dei 60 orsi marsicani rimasti al mondo, è morto poco dopo l’arrivo dei soccorsi di guardia-parco, servizio veterinario e Carabinieri Forestali.

Juan Carrito era quello che si definisce un orso confidente, cioè troppo abituato alla presenza dell’uomo e quindi frequentatore di centri urbani in cerca di cibo. Era figlio di Amarena, un’orsa che nel 2020 aveva partorito quattro orsetti (evento straordinario) che erano poi diventati delle star dei social.

Recentemente Wwf Italia e «Salviamo l’Orso», coordinati dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, si erano impegnati, con un investimento economico importante, per realizzare una recinzione proprio lungo il tratto della SS17 ritenuto maggiormente pericoloso per la fauna selvatica.

L’intervento, concluso nelle scorse settimane, ha visto il montaggio di una rete metallica fissa su entrambi i lati della carreggiata in un tratto di 600 metri con l’obiettivo di evitare attraversamenti e di «indirizzare» gli animali verso un sottopasso adiacente, mitigando così il rischio di incidenti. Ma purtroppo il passaggio è avvenuto in un tratto che non era stato interessato dall’intervento.
La storia di Juan Carrito ha molto da insegnarci. Innanzitutto che la «umanizzazione» degli animali, in particolare degli orsi, è profondamente sbagliata. Animali di questo tipo devono rimanere quanto più possibile selvatici. Le problematicità di gestione di Carrito hanno mostrato quanto sia importante prevenire fenomeni di «confidenza» tramite l’adozione di comportamenti corretti da parte dei cittadini e le giuste misure di gestione del territorio da parte delle istituzioni a cui spetta, ad esempio, contrastare l’abbandono di rifiuti nei centri abitati che finiscono per rappresentare una fonte di cibo irresistibile e una delle cause principali dell’insorgenza di comportamenti confidenti.

La morte del giovane orso sottolinea poi quanto siano necessari interventi strutturali su strade, autostrade e ferrovie per mettere in sicurezza la residua popolazione di orso marsicano. Vanno incrementate le misure di protezione e prevenzione, iniziando dalla riduzione della velocità nelle strade che attraversano l’areale dell’orso con limiti più severi, maggiori controlli e dissuasori.

In buona parte del nostro Appennino, le strade attraversano aree naturali ricche di biodiversità. Vivere in un territorio dove la natura è predominante dovrebbe obbligarci a investire nella sua salvaguardia. Spesso invece mancano politiche che prevedano azioni concrete per mitigare il nostro impatto sulla preziosa biodiversità che ci circonda. Le associazioni, le aree protette e la stessa Europa attraverso ripetuti progetti Life hanno investito ingenti risorse economiche e umane in interventi tesi a migliorare la coesistenza tra uomo e orso.
Ma questo evidentemente non è sufficiente se ogni anno – in media – due orsi bruni marsicani muoiono per cause umane, accidentali o illegali. E Juan Carrito è solo l’ultimo triste caso che ci ricorda che, per conservare l’orso più raro d’Europa, è indispensabile un vero cambio di passo. Questo è l’ultimo monito che ci ha donato la storia travagliata di questo giovane orso. Suonano quindi un po’ false le dichiarazioni di quei politici che oggi piangono la morte di Juan Carrito, ma che fino a ieri hanno approvato in Abruzzo la riduzione (poi scongiurata dalla Corte Costituzionale) di importanti aree protette come il Parco regionale Sirente-Velino o invasivi interventi infrastrutturali nell’areale dell’orso. È veramente arrivato il momento di realizzare per l’Appennino centrale uno sviluppo sostenibile. Altrimenti, l’ondata di commozione non servirà a nulla e durerà meno di quegli interminabili minuti di agonia contro un freddo guard-rail del povero Juan Carrito.