Lavoro

«Troppo caldo: app diano a tutti i rider acqua e sali»

«Troppo caldo: app diano a tutti i rider acqua e sali»Una manifestazione di rider

Tribunale di Palermo Ricorso della Cgil: Glovo condannata a intervenire contro il rischio di lavorare sotto il sole

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 10 agosto 2022

Tra le tante categorie di lavoratori costrette a turni massacranti sotto il sole nell’anno più caldo di sempre, i rider si distinguono per capacità di reazione.
Le notizie di cronaca riportano molti casi che testimoniano le difficoltà di fare consegne di cibo nelle ore più calde. Un rider è svenuto a Milano, un corriere è morto in California per un colpo di calore. Tanto che l’Inps ha concesso la cassa integrazione per i lavoratori che operavano con temperature superiori a 35 gradi.

Così un lavoratore di Glovo di Palermo si è ribellato alla «grave disidratazione» e alla «spossatezza» causata dalle consegne effettuate tra le ore «12,00 e le ore 16,00» depositando un ricorso per chiedere che la società gli fornisse le protezioni minime.

Il ricorso d’urgenza (ex articolo 700) presentato assieme a Nidil, Filcams e Filt Cgil di Palermo dagli avvocati Giorgia Lo Monaco, Maria Matilde Bidetti, Carlo de Marchis è stato accolto dal tribunale del Lavoro di Palermo che ha condannato Foodinho srl – la società che gestisce il marchio Glovo – «a consegnare al ricorrente, per la stagione estiva e dunque sino alla data del 23 settembre 2022, un contenitore termico contenente acqua potabile in misura pari al fabbisogno medio giornaliero, nonché integratori di sali minerali, nella medesima misura succitata, e una adeguata protezione solare». La società è stata poi condannata alla «rifusione delle spese di lite di 500 euro».

Le sette pagine di sentenza depositate il 3 agosto dal giudice Elvira Majolino accolgono in toto le richieste del lavoratore, degli avvocati e dei sindacati e potranno essere riprese in molti altri casi nel resto d’Italia.

In realtà Glovo, come ricorda la giudice, è l’unica app fra i colossi del food delivery «a riconoscere quale rischio specifico per il rider il microclima individuando fra le correlate “Misure preventive e protettive da adottare nella stagione estiva l’introduzione di liquidi e integratori salinici».

Ma, come sempre nel caso di un rapporto di lavoro considerato autonomo dalle multinazionali del food delivery, Glovo si limitava ad un invito, lasciando al rider l’arte dell’arrangiarsi.

«Il generico l’obbligo di tutela dell’integrità psico fisica del lavoratore, di cui all’articolo 2087 del Codice civile – scrive la giudice – e la pacifica esistenza dei rischi per la sicurezza dei rider correlati alle elevate temperature della stagione estiva, deve ritenersi che la società sia tenuta all’adozione delle misure preventive e protettive, per come individuate dalla stessa e indicate parimenti dall’Inail per la gestione del rischio caldo», continua la giudice Majolino. E conclude motivando la decisione urgente: «La protrazione dello svolgimento dell’attività di lavoro in assenza di misure protettive contro i rischi derivanti dall’esposizione a temperature elevate e ondate di calore, potrebbe esporre il ricorrente, durante il tempo occorrente per una pronuncia di merito, a pregiudizi, anche irreparabili, del diritto alla salute, tenuto conto anche della mancata previsione di una riduzione o sospensione dell’attività nelle ore e giornate più calde», conclude la sentenza.

«Palermo è stata la città che a giugno e luglio ha avuto più giorni a rischio 3: considerato “grave pericolo” per chi lavora nelle ore più caldo – commenta l’avvocato Carlo De Marchis – . Il caldo di quei giorni ha portato il sindaco a fare l’ordinanza del 14 luglio che imponeva di portare 10 litri d’acqua per ogni cavallo. È incredibile invece che per i rider si dicesse solo: “State attenti” come Glovo, sostanzialmente scaricando il problema sui lavoratori. Altre piattaforme non solo non identificano il rischio ma persino incentivano, con la previsione di un maggiore compenso, le consegne nelle ore più calde a pranzo, quando in realtà bisognerebbe sospendere o allentare i ritmi di lavoro», conclude De Marchis.

Quello di Palermo è il primo ricorso del genere ma il sindacato sta pensando di farne altri contro altre multinazionali.

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