Troppi morti da pandemia in Italia e non è una fatalità
Covid-19 Non era possibile fare altrimenti? Forse sì. In Europa siamo tra i Paesi che spendono di meno per la sanità pubblica. E ora avvieremo una lotta per prevenire nuovi contagi?
Covid-19 Non era possibile fare altrimenti? Forse sì. In Europa siamo tra i Paesi che spendono di meno per la sanità pubblica. E ora avvieremo una lotta per prevenire nuovi contagi?
Ieri, l’Italia ha raggiunto il ragguardevole traguardo di 139.422 contagiati totali e 17.669 decessi da Covid-19. Eppure, non solo i dati delle anagrafi comunali ci dicono che ci sono più morti di quelli registrati in media negli ultimi anni (più quelli da virus), ma le cronache e le esperienze di molti di noi ci raccontano di uomini e donne morti soli in casa, di persone in pieno vigore fisico che, segnalati i sintomi della malattia e contattato il medico, si sono sentite suggerire di rimanere in casa per poi vedersi peggiorare e non poter più fare nulla. Il fatto è che, sembra, da noi di Covid-19 si muore più che altrove. Perché? Certo, molti contagiati «non risultano» e ne escono bene, ma gli altri?
La Germania è passata in un mese da 800 casi totali e 0 decessi a 107.663 casi e 2.016 morti. In Italia, il 7 marzo scorso vi erano già 5.883 casi totali e 233 decessi (il nostro totale era stato di 842 già il 28 febbraio, otto giorni prima della Germania, con 21 morti). In sostanza, la Germania è «indietro» 8 giorni rispetto a noi, nella diffusione del contagio, ma già più avanti nel numero di casi totali e ben più indietro nel numero dei morti.
Perché i nostri morti sono otto volte quelli della Germania? Anche in Spagna, dove il 7 marzo si registravano 525 casi totali (e 10 decessi), un mese dopo, i casi totali sono saliti fino a 141.942, con 14.045 decessi. Il tasso di mortalità complessivo è del 9.8% in Spagna, dell’1,8% in Germania e del 12,5% in Italia. Non è tanto l’epidemia ad essere diversa, quanto forse come ci siamo arrivati e come il nostro sistema sanitario l’ha affrontata che ha fatto la differenza.
Come ha mostrato di recente Gianfranco Viesti, dall’anno 2000 la spesa sanitaria in Italia è stata crescente fino al 2010 per poi calare sempre: oggi è il 60% del 2010 e dal 2012 è inferiore a quella dell’anno 2000. Viesti non fa che citare un rapporto della Corte dei Conti, che evidenzia sia lo squilibrio territoriale di quella spesa (che è stata, naturalmente, inferiore nelle regioni del sud) sia la minore spesa italiana rispetto ai principali Paesi europei.
Secondo gli ultimi dati Ue, infatti, Francia e Germania spendono per la sanità l’11,3% del PIL, contro l’8,9% della Spagna e l’8,8% dell’Italia. Non solo, negli ultimi anni la spesa sanitaria di Francia e Germania è aumentata, quella italiana è diminuita e, dato che il loro Pil è cresciuto ben più di quello italiano, è chiaro che siamo noi ad aver investito molto meno. L’Italia è anche tra i Paesi che spendono meno per abitante (2.287 euro), come la Spagna (2.221), contro i 4.459 tedeschi e i 3.992 francesi.
In molti si sono chiesti come abbiano fatto i tedeschi a limitare il loro tasso di mortalità da Covid-19 a valori molto più bassi di altri Paesi. Certo la spesa sanitaria non spiega direttamente questo dato e vi sono una serie di fattori. Ad esempio, è stato detto, la strategia «aggressiva» verso il contagio – appena rilevati sintomi di febbre le persone vengono testate e subito ricoverate – ha sicuramente contribuito a diminuire la letalità del virus.
Come rilevato da molti virologi, infatti (si veda, da ultima, un’intervista al prof. Viale ieri su Repubblica), si dovrebbe evitare che i pazienti raggiungano lo stato in cui l’infezione attacca i polmoni, aggravandosi, per cui diventa poi necessario il ricovero in terapia intensiva (accrescendo la probabilità di morte). In Italia, in generale, si è seguita la pratica di «stare a casa, anche se si ha la febbre» per contattare poi il medico e farsi ricoverare se la situazione peggiora.
Purtroppo, però, non sono pochi quelli che hanno finito per morire a casa, magari soli, come riportano le cronache. Sappiamo che i morti dichiarati «da Covid-19» siano meno di quelli effettivi, ma non è solo perché tra i deceduti vi è chi aveva anche altre patologie. Purtroppo, il nostro sistema non è stato di affrontare l’epidemia diversamente e la strategia scelta, possibilmente, è una delle ragioni all’origine della nostra mortalità spaventosamente alta (siamo il Paese, ad oggi, con il tasso più alto).
Questo, però, non è stato solo il frutto della fatalità o di quanto sia aggressivo il virus. E non è nemmeno il risultato della mancanza di preparazione alla pandemia per la quale pare che nessun paese abbia brillato. Nonostante i nostri medici, infermieri e tutto il personale sanitario si siano prodigati oltre ogni limite – e di questo non potremo che esserne sempre grati – la risposta del sistema sanitario italiano è stata all’altezza delle premesse: bassi investimenti, un numero di posti letto diminuito negli anni, strutture pur avanzate che non hanno potuto reggere l’urto, personale a ranghi ridotti.
Anche se avessimo voluto, noi non avremmo mai potuto praticare una politica di trattamento del contagio differente, e così la stiamo pagando. I nostri morti sono già tanti e altri se ne aggiungeranno dai 94 mila contagiati di oggi. Eppure, ora che «le terapie intensive si svuotano», come ci dicono, non potremmo forse avviare una nuova strategia di lotta alla diffusione e prevenzione dell’aggravamento per chi è contagiato? Non abbiamo abbastanza tamponi, test, laboratori, personale? Certo, la spesa per la sanità non è l’unica responsabile di questa situazione, ma se solo fossimo meglio dotati, forse, qualcosa di più e di diverso lo potremmo fare.
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