Scaricare a bella posta migliaia di esseri umani su una frontiera incerta e senza prospettive di salvezza, quello che sta facendo l’autocrate bielorusso Lukashenko, è meschino e vergognoso, peggio se motivato spregiudicatamente come ritorsione alle sanzioni Ue dopo il dirottamento dell’aereo Vilnius-Atene con a bordo un oppositore di Minsk.

È un gioco sporco sulla pelle di esseri umani ora alle prese con il muro militare polacco fatto di stato d’assedio nella regione, spari, tank, elicotteri, forze speciali e arresti di massa. Lì di freddo sono morti già sei migranti.

Ma questo non esclude interrogativi di fondo sulla crisi in corso al confine polacco diventato all’improvviso il fronte di una nuova «guerra ibrida» che vede schierato quasi tutto il mondo per una rinnovata guerra fredda in pieno Vecchio continente.

Soprattutto se si considera che, al di là delle strumentalizzazioni di Lukashenko, il dramma dei profughi in fuga da guerre e miseria che ci hanno visti come protagonisti occidentali, non è propaganda: è reale.

E soprattutto se si ha a cuore, non tanto la dimensione geopolitica della crisi, quanto la vita di migliaia di persone ora chiuse alla frontiera bielorussa, spinti a forza da una parte e respinti con violenza dall’altra, con in mezzo una barriera di filo spinato protetto da dodicimila militari inviati da Varsavia con forze antiterrorismo.

Tre domande cogenti urgono:

  1. se c’è in atto un ricatto sui profughi, c’è forse una ricattabilità specifica su questo dell’Unione europea?
  2. Siamo sicuri che gli unici agenti protagonisti della crisi strumentale in corso siano l’autocrate di Minsk e il leader russo Putin considerato suo protettore – ma in realtà è visto da Mosca con grande diffidenza per la sua pericolosa inaffidabilità – e non anche due attori già in scena, la Polonia e, nascosta, la Germania?
  3. E che fine devono fare ora quei 5mila profughi (ma le fonti del governo polacco parlano di più di diecimila)?

Alla prima domanda non è difficile, purtroppo, rispondere: la questione dei profughi è la voragine nera dell’Unione europea che si considera a torto leader dei diritti umani, che i migranti in fuga afghani, siriani, iracheni e africani ora li abbandona spesso al lor destino e che come fortezza economica li respinge indietro.

La chiamano esternalizzazione, verso Paesi come Libia, Turchia, Marocco, che fanno i gendarmi per noi e che per questo ruolo, costruendo un universo concentrazionario di carceri e campi di concentramento, ricattano l’Ue nella gestione dei flussi; eppure il ricatto è tranquillamente accettato in un scambio ineguale di esseri umani e finanziamenti, nel pieno disprezzo dei diritti umani. E della memoria, visto che la gran parte dei Paesi europei ha partecipato alle ingerenze umanitarie e alla esportazione della democrazia in armi che hanno destabilizzato Libia, Siria, Afghanistan – la Germania ha avuto per un massacro di civili provocato da un suo bombardamento aereo addirittura una crisi di governo nel 2009.

Che dire poi dei Paesi dell’Est, tutti entrati nella Nato e al seguito delle guerre Usa, che ora rifiutano ogni redistribuzione del carico di migranti in arrivo in Europa e che chiedono all’Ue di finanziare l’estensione di un muro di fili spinati lungo tutte le loro frontiere – e la maggior parte di loro non confina con la Bielorussia? Ora che nuovi muri sono comparsi su tutta la cosiddetta rotta balcanica e oltre, dall’Ungheria, alla Slovenia, alla Croazia, alla Grecia e alla Bulgaria che invia truppe al confine turco?

Quanto alla domanda sugli attori in scena, come non notare che la Polonia, solo fino a 48 ore prima sotto accusa della Commissione europea per violazione dello Stato di diritto, sia diventata all’improvviso il baluardo geostrategico dell’Europa stessa? Ora la sua richiesta di un muro finanziato dalla Ue appare più «credibile», mentre Varsavia respinge la presenza di testimoni sul luogo compresi i giornalisti e le Ong internazionali e vieta l’ingresso di Frontex.

Solo pochi giorni fa Angela Merkel ha invitato Bruxelles ad essere più flessibili verso Varsavia in virtù delle sue «sofferenze storiche», aprendo così la strada – ha scritto Sergio Romano sul Corriere della Sera – ad una rivisitazione diseguale dei doveri di rispetto dei Trattati europei.

Allora come non vedere che c’è anche la Germania come attore non proprio invisibile, con Merkel che lascia la scena dichiarandosi pentita della scelta di aprire ai profughi siriani? Subito interpretata in questi giorni dal ministro ad interim degli interni Horst Seehofer: se l’inquadratura delle tv, dalla frontiera polacco-bielorussa si allargasse sulla confine polacco-tedesco, vedremmo nel Brandeburgo centinaia di migranti chiusi in un corridoio di terrore, dove un esercito di poliziotti e qui e là di milizie neonaziste, è a caccia dei profughi che sono riusciti a passare.

A proposito, ma la coalizione di governo in fieri della Germania post-elettorale su questo non ha nulla da dire? Ora che ogni autorità tedesca si dichiara favorevole al finanziamento Ue per la muraglia di filo spinato che un gruppo di Paesi, con la Polonia capofila, hanno richiesto?

Non è solo questione di sovranismi che condizionano le scelte dei governi: l’Unione fin qui realizzata appare come un sovranismo gigante, in incerto equilibrio tra due nazioni, Germania e Francia, tutt’altro che sovranazionali, che disattende i suoi stessi Trattati sulla libera circolazione. A meno che, naturalmente, non si tratti di merci.

Intanto sulla crisi arrivano l’allerta della Nato, responsabile di quasi tutte le guerre dalle quali macerie i profughi sono in fuga, e perfino la voce grossa degli Stati uniti che di muri contro i migranti e delle prigioni perfino per bambini profughi davvero se ne intendono.

Ma allora che fine devono fare le migliaia di profughi imbottigliati al confine polacco-bielorusso? C’è un appello delle quattro scrittrici Nobel per la letteratura, l’austriaca Elfrie Jelineke, la russa Svetlana Aleksievic, la tedesca Herta Muller e la polacca Holga Tokarczuk, che appellandosi al responsabile degli affari esteri Ue Charles Michel dicono chiaro: «Per noi l’Ue è soprattutto una comunità morale basata sulle regole della solidarietà interpersonale… Comprendiamo che non è facile far fronte all’assalto della disperazione ai confini dell’Europa. Tuttavia, ciò che stiamo permettendo alla frontiera polacca non si adatta ai nostro valori fondamentali», e chiedono quindi il rispetto della Convenzione di Ginevra sui rifugiati: vuol dire accoglimento, rispetto delle persone, salvaguardia del diritto d’asilo.

Sarebbe la vera ingerenza umanitaria. Altrimenti nella zona grigia di questa crisi si consumerà un lento ma inesorabile declino di quella che ancora chiamiamo Unione europea.