A Ursula von der Leyen non è bastato promettere un commissario per il Mediterraneo, o assicurare un maggiore impegno nel rimpatri dei migranti irregolari, per convincere Giorgia Meloni a votarla. Indecisi fino all’ultima parola di quelle che saranno le linee guida della nuova Commissione Ue, alla fine i Fratelli eurodeputati si sono espressi contro, obbedendo all’ordine di scuderia arrivato da Roma. Del resto era scontato: dopo che per mesi von der Leyen e Meloni hanno progettato insieme politiche sempre più dure contro i migranti – dagli accordi con Tunisia, Libia ed Egitto al Patto su immigrazione asilo che blinda i confini europei – appare davvero difficile che l’Ue, sempre meno solidale con chi fugge da fame e persecuzioni, possa peggiorare ancora le sue politiche sull’immigrazione. La premier italiana chiedeva altro e quindi almeno per ora la collaborazione con la tedesca sembra finire qui.

Da parte sua nelle due pagine del programma dedicate al dossier migranti la presidente conferma la linea tutta improntata sulla sicurezza dei confini portata avanti fino a oggi e che ha in Frontex il nuovo punto di forza. Dopo anni di annunci, l’organico dell’Agenzia per il controllo delle frontiere viene adesso triplicato passando così da 10 mila a 30 mila unità dotate delle più moderne tecnologie per la sorveglianza delle frontiere. La pressione su Lampedusa, ma anche la crisi avuta al confine tra Polonia e Bielorussia, quanto accade da mesi alla frontiera tra Finlandia e Russia senza dimenticare i paesi baltici, le Canarie e Cipro, sono per von der Leyen alcune delle crisi che l’Unione ha dovuto affrontare negli ultimi anni. «Dovremmo sempre tenere ben presente che il confine di uno Stato membro è un confine europeo – spiega – Confini più sicuri significheranno anche una migliore gestione dei flussi migratori, una cosa che può essere fatta in modo più giusto, più strutturata».

Per quanto si tratti duna figura ancora solo accennata, il futuro commissario per il Mediterraneo dovrebbe servire anche a dare attenzione a quanto accade alle frontiere meridionali dell’Unione. Contrariamene a quanto ci si potrebbe aspettare, però, di sicuro non si occuperà solo di immigrazione, ma i suoi compiti riguarderanno anche futuri investimenti, la stipula di nuovi partenariati, la stabilità economica, la creazione di nuovi posti di lavoro nonché energia e sicurezza e, con particolare attenzione a quanto accade in Medio Oriente, lavorerà a stretto contatto con la nuova rappresentante per la politica estera della Ue, l’estone Kaja Kallas.

C’è, infine, la promessa di incentivare i rimpatri dei migranti irregolari. Von der Leyen ha promesso maggiore coordinamento tra gli Stati membri. «Proporremo un nuovo approccio comune – ha spiegato – con una nuova normativa quadro per accelerare e semplificare il processo, garantire che i rimpatri avvengano in modo dignitoso, digitalizzare le situazioni e garantire che le decisione di rimpatrio siano riconosciute in tutta Europa».

Promesse che in passato si sono già sentite ma che hanno sempre incontrato più di un ostacolo alla loro realizzazione. Come l’assenza di un numero sufficiente di accordi bilaterali con i paesi di origine dei migranti necessari per attuare i rimpatri, a partire dagli Stati africani.
Proprio su questo il Ppe ha recentemente proposto di arrivare di siglare, sul modello dell’accordo Ue-Tunisia e del partenariato tra Egitto e Ue, nuove intese con Mali, Niger, Ciad, Nigeria e Etiopia per realizzare in questi Paesi «hub per il rimpatrio» di persone che non vengono accettate dai propri paesi di origine. Rischia di essere questa la nuova frontiera che l’Europa vuole raggiungere.