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Troppa perfezione computer graphic toglie magia e ironia al «Re leone» 2.0

Troppa perfezione computer graphic toglie magia e ironia al «Re leone» 2.0

Al cinema Il 21 agosto esce nelle sale il remake del classico Disney, diretto da Jon Favreau

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 20 agosto 2019

«Sarò re» cantava il leone Scar, accompagnato da un coro di iene, nel classico Disney del 1994: Il re leone. Il suo ruolo di usurpatore shakespeariano, a tratti terrificante per i bambini, specialmente nella scena in cui getta il fratello – e legittimo re – Mufasa giù da un dirupo, era anche attraversato da una profonda ironia. Scar era pieno di sé, pavido (anche se non quanto il principe Giovanni di Robin Hood), maldestro, viveva nell’ombra del fratello perfetto: possente, legittimo erede al trono, saggio, lottatore infallibile con la folta criniera rossa che contrastava con quella nera e più spelacchiata di Scar. Era impossibile, anche per i più piccoli, non provare in fondo per il reietto della corte, sfregiato a vita dal suo stesso fratello, una certa simpatia.

E «SARÒ RE» canta anche la sua versione del 2019 nel nuovo Re leone, ricalcato fedelmente sull’originale che a sua volta reinventava la vicenda di Amleto in un regno animale opportunamente rivisto, in cui anche zebre e gazzelle amano il re benevolo di cui sono le prede. Questo Lion King, che si inserisce nella lunga lista di remake dei classici d’animazione Disney (da La bella e la bestia a Aladdin), è girato da Jon Favreau – lo stesso che nel 2008 ha inaugurato lo strabiliante successo del Marvel Cinematic Universe con Iron Man – ed è realizzato con una computer grafica talmente accurata da poter sembrare un documentario di National Geographic. Ma proprio questo eccesso di realismo è ciò che toglie gran parte della magia a una storia che con la fedeltà alla natura non ha niente a che fare, un dramma/commedia/musical interpretato da un vastissimo repertorio di animali ai quali il tratto dei disegnatori del film originale conferiva espressioni di volta in volta umane, grottesche, tragiche e comiche – del tutto perse sui dettagliatissimi volti felini dei nuovi Simba, Nala, Scar e Mufasa.

A INTERPRETARLI nella versione statunitense c’è la nuova generazione di popstar americane: Donald Glover è il protagonista Simba, figlio di Mufasa (in entrambe le versioni interpretato da James Earl Jones, che nel doppiaggio italiano del 1994 era Vittorio Gassman) e Beyoncé è Nala, la sua amica d’infanzia – mentre Pharrell Williams affianca Hans Zimmer nella rivisitazione delle musiche da lui scritte nel 1994, con canzoni di Elton John. Nell’assai più tiepida versione italiana Simba e Nala sono Marco Mengoni e Elisa, ma in fondo proprio le sequenze musical sono le più penalizzate dal «mimetismo» del film, a partire dal Sarò re di Scar che racchiudeva un tempo tutte le sfumature del suo personaggio, qui ridotto a cattivo monodimensionale.

FANNO PARZIALMENTE eccezione i due personaggi in assoluto più memorabili del Re leone: il facocero Pumba e il suricato Timon, l’inseparabile coppia comica alla quale Favreau concede una delle poche variazioni sull’originale e che inizia Simba a una dieta a base di insetti e alla filosofia Hakuna matata/senza pensieri. Ma ovviamente il legittimo erede al trono dovrà realizzare il proprio destino sfidando l’usurpatore, in uno scontro che oggi molto più che nel 1994 evoca anche la distruzione della natura di cui, in assenza di esseri umani, sono colpevoli Scar e le sue alleate iene,

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