Trieste, sparatoria in pieno centro. L’ombra delle “mafie” edili
Colpi di pistola in via Carducci, all’esterno di un locale. Sette feriti, due gravi. Altri spari al casello, fermati due uomini già «attenzionati». Cassa Edile, Confartigianato e sindacati avevano denunciato un mercato «drogato»
Colpi di pistola in via Carducci, all’esterno di un locale. Sette feriti, due gravi. Altri spari al casello, fermati due uomini già «attenzionati». Cassa Edile, Confartigianato e sindacati avevano denunciato un mercato «drogato»
Grande clamore a Trieste per la sparatoria di ieri mattina. Una assoluta novità che ha turbato non poco i triestini, abituati allo scorrere tranquillo dei giorni e, al massimo, a risse tra bande di ragazzotti, normalmente a sera inoltrata e più o meno nelle stesse zone. Scaramucce amplificate dalle sostanze o dall’alcool, incrudelite da qualche rancore etnico, sicuramente frutto di un disagio sociale che cresce con la precarietà e l’insicurezza nel futuro. Colpi di pistola così, in pieno centro, non si erano mai sentiti.
VIA CARDUCCI è una strada larga che attraversa il centro città, cinque corsie di macchine a senso unico, autobus per tutte le direzioni e una fila di negozi dietro gli alberi dell’ampio marciapiede dove affacciano piccoli bar con qualche tavolino all’aperto. Mattina presto, nemmeno le otto, pochissima gente in giro (per fortuna!); in quell’isolato sono aperti solo tre/quattro bar, il giornalaio, la panetteria che sta alzando le saracinesche ed ecco, improvviso, il finimondo. Dieci minuti, anche meno: prima botte a sprangate e sedie e tavoli che volano, poi spari che lasciano a terra feriti e una figura armata che scappa lungo una via laterale. Due uomini finiscono all’ospedale in codice rosso, due in prognosi riservata e almeno altri tre trasportati via in ambulanza.
La zona è transennata, la gente comincia a far capannello dietro le strisce bianche e rosse e guarda sbigottita le sedie rotte e le tracce di sangue sul selciato. La polizia perquisisce le auto parcheggiate: da una sono sicuramente scesi gli assalitori, «con caschi integrali e bastoni», dichiara una testimone, ma anche in una macchina vicino viene rinvenuta una spranga. Più tardi nella mattinata altri colpi di pistola nei pressi del casello autostradale in uscita da Trieste, due uomini in fuga fermati e armi sequestrate. Spedizione punitiva, con tutta evidenza. Voci dalla questura parlano di personaggi già «attenzionati» che lavorano per almeno due diverse imprese edili, protagonisti di un’altra violentissima rissa in luglio.
PARE PROPRIO una guerra tra piccoli criminali. Troppo disordine per pensare a una criminalità organizzata, troppo frettolosa e sciocca la via di fuga scelta. Le armi? Non stupisce che in una città di confine come questa, dove il traffico di armi è da sempre attivo e con una guerra nei Balcani alle spalle, si trovino pistole; resta questo però un dato preoccupante: sarà anche un fattaccio di piccola criminalità ma la scopriamo furiosa e, soprattutto, armata.
Cosa succede a Trieste? È un problema di etnie violente come sembra pensare l’assessore regionale alla Sicurezza, Pierpaolo Roberti, che ha subito contattato il Prefetto al quale ha «ribadito la necessità di fare il punto sull’ordine pubblico in città e in particolare sulla situazione legata alla presenza della comunità kosovara»? Non è piuttosto un problema più profondo e complesso legato al mondo del lavoro, alla mancanza di controlli, allo sfruttamento e ai meccanismi di un mercato del lavoro sempre più avido e sregolato?
A TRIESTE LE CASE in ristrutturazione sono centinaia, le impalcature che nascondono le facciate degli edifici si moltiplicano e con loro, ditte e imprenditori “improvvisati”, con inesistenti misure di sicurezza e tanto lavoro nero. Lo hanno denunciato recentemente anche Cassa Edile, Confartigianato e i sindacati di categoria che hanno chiesto interventi per eliminare un fenomeno che crea concorrenza sleale e un mercato drogato. Lo scontro finito nel sangue è nato molto probabilmente in questo scenario, una guerra per appaltarsi qualche lavoro, frutti avvelenati di gare al massimo ribasso e di subappalti di subappalti, o di lavoro nero tout court. Sarà ora di pensare a interventi seri e a maggiori controlli per tagliare le radici del male e non alle solite, inutili, telecamere.
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