Trieste Film Festival, narrazioni femminili di guerra e sorellanza
Cinema «Green Border» di Agnieszka Holland ha aperto la 35a edizione, l’Ucraina vista da Olga Chernykh. Il focus sulle registe tedesche, Anna Hints e la comunità intorno alla sauna
Cinema «Green Border» di Agnieszka Holland ha aperto la 35a edizione, l’Ucraina vista da Olga Chernykh. Il focus sulle registe tedesche, Anna Hints e la comunità intorno alla sauna
C’è un bel sole a Trieste questi giorni, che fa il cielo e il mare ancora più azzurri, quasi a specchiarsi nell’immagine scelta per l’edizione 2024 dal Trieste Film Festival che si è aperto con Green Border di Agnieszka Holland nelle sue sezioni competitive precedute dal focus Wild Roses – curato da Mariette Rissenbeek: una panoramica fra le opere delle registe tedesche negli ultimi anni attraverso diverse generazioni, da Ulrike Ottinger (Paris Calligrammes) e Margarethe Von Trotta (Ingeborg Bachmann – Reise in die Wuste) a Angela Schanelec (Musik) e Maria Speth (Herr Bachmann und seine klasse). E soprattutto dalle affollate giornate dell’Industry, quel When East Meets West (WEMW) divenuto evento a sé, riferimento internazionale per distributori, produttori, professionisti del settore.
SUL PALCO la serata inaugurale è salito Marco Bellocchio a ricevere il premio per il miglior film italiano che il Sncci – il Sindacato critici italiani ha assegnato al suo Rapito (anche nominato tra i film stranieri ai César) – quello per il miglior film internazionale è andato a Pacifiction di Albert Serra – con parole di ringraziamento e di riflessione sulla situazione in Palestina. Ma la realtà del mondo appartiene per statuto a questa manifestazione nata trentacinque anni fa, in un luogo quale appunto Trieste, città di confine, che sul bordo delle frontiere intreccia memorie di Storia passata e presente dell’Europa portando in sé lezioni sempre attuali per il futuro. La scelta di Green Border è dunque particolarmente centrata – il film uscirà nelle sale italiane il prossimo 8 febbraio – anche a esprimere le mappe che il festival prova a disegnare con le sue scelte orientate a quell’est geografico e culturale di cui gli immaginari, nel rapporto con l’ovest, illuminano conflitti, guerre, rimozioni e violenze di oggi.
Nella Polonia (Europa?) dei conservatori che ha messo Green Border all’indice dopo la presentazione alla Mostra di Venezia, con pesanti attacchi personali alla regista, i «confini» che volevano essere qui superati nell’utopia di un multiculturalismo diventano una sorta di «scacchiera» su cui affermare il proprio potere e quei ricatti politici che lo nutrono. Da una parte il governo polacco che pur dichiarandosi «democratico» esercita una persecuzione spietata contro i migranti arrestando chi li soccorre in quei boschi lungo la «linea verde» e con un esercizio di leggi speciali praticate contro ogni diritto umanitario. Dall’altra il regime bielorusso di Lukashenko che specula sulla disperazione attirando i migranti in Bielorussia per poi gettarli spietatamente nelle mani dei militari polacchi. Questo spazio nel terribile viaggio di una famiglia siriana viene reso da Holland un «teatro» critico dove si mostrano nella loro evidenza gli effetti e le conseguenze delle politiche migratorie europee sulla vita democratica e i sentimenti contraddittori verso chi è considerato «altro».
Quando Olga Chernykh ha iniziato il suo progetto di film la guerra in Ucraina non era ancora iniziata. Poi anche se, come dice lei, se ne parlava ogni giorno – e peraltro nel Donbass dove è nata era già una realtà – è accaduto che la Russia li ha invasi. Il film lo ha riscritto, e quei luoghi da cui è andata via, continuando l’emigrazione della sua storia famigliare – i genitori dal Donbass si erano spostati a Kyiv, lì era rimasta soltanto l’amata nonna – si sono fatti all’improvviso inaccessibili e lontani. Mariupol la città delle sue fughe da ragazzina saltando la scuola con l’amica del cuore è divenuta il simbolo, il primo, di quel conflitto: e dopo? Cosa accadrà a lei, alla madre, alla nonna che avevano provato a resistere con una coppa di champagne e le loro chiacchierate? A Picture to Remember (concorso documentari) non è un film sulla guerra in Ucraina, anche se naturalmente le immagini del conflitto punteggiano la narrazione famigliare che si fa collettiva componendo un affresco storico che interroga l’oggi. È soprattutto la parte femminile della famiglia della regista a dare il via alle storie – anche se poi sia il nonno che il padre sono presenti nel fuoricampo realizzando le immagini di famiglia. Nelle loro vite, e nelle loro storie entrano il conflitto mondiale, l’Unione sovietica, la ricostruzione post-bellica, le fabbriche, il controllo, i Gulag, la Siberia. E insieme la leggerezza di giornate al mare, i legami affettivi coi luoghi – quale appunto il Donbass – cancellati per sempre. La malinconia delle perdite e l’irruzione nella propria esistenza di una nuova estraneità, con le bombe e i morti che di nuovo ne capovolgono le traiettorie. Seguendo le emozioni personali, fra gli archivi pubblici e privati la regista sa cogliere lo spaesamento di adesso restituendo la fragilità del quotidiano.
È DECLINATO al femminile – una scelta questa che attraversa l’intera selezione – anche Smoke Sauna – I segreti della sorellanza (Fuori concorso) il doc pluripremiato di Anna Hints, esordio vincitore al Sundance nel 2023, che ha trionfato anche agli Efa imponendosi come miglior documentario, e che sarà in sala come uscita evento il 5-6-7 febbraio. La regista estone, anche musicista folk sperimentale, che è arrivata a Trieste ad accompagnarlo, ha raccontato che aveva l’immagine del suo film in mente da quando bambina era andata in una sauna con la nonna e la mamma dopo la morte del nonno, e lì la nonna aveva confidato del tradimento dell’uomo che per un periodo aveva vissuto con un’altra donna. «In quel momento ha liberato tutte le emozioni legate a questo fatto: dolore, rabbia, delusione. Una seduta di sauna a fumo dura diverse ore. Quando ce ne siamo andate, ho sentito che la nonna aveva fatto pace con il nonno e che il giorno dopo avrebbe potuto seppellirlo senza rancore. La sauna è uno spazio sicuro dove le emozioni e le esperienze, comprese quelle dolorose e imbarazzanti, possono essere condivise senza giudizio. Con questa sorellanza e questa comunità intorno a te la tua voce può essere ascoltata».
La sauna è uno spazio sicuro dove le emozioni e le esperienze, comprese quelle dolorose e imbarazzanti, possono essere condivise senza giudizio Anna HintsEd è questo che fanno le sue protagoniste nel fumo della sauna, in quello spazio piccolo e antico di un’intimità condivisa nel mezzo della neve, dove si incontrano e possono confidarsi – e confidare alla macchina da presa che ascolta con discrezione, senza interferenze, in una relazione di reciproca fiducia – gli accadimenti più brutti della loro vita, ciò che le ha segnate o ha condizionato le loro esistenze in termini di auto-rappresentazione e coscienza di sé, del rapporto con gli altri, col desiderio, il corpo, la sessualità, il femminile, il maschile.
È QUASI SEMPRE la dimensione del patriarcato che emerge in storie di abusi, violenze sessuali di maschi che si fingono gentili, ma anche nel sottile disprezzo di madri che nel patriarcato radicano l’immagine della donna che deve essere perciò bella, desiderabile, una figlia femmina brutta – definita pietosamente «particolare» – è inaccettabile. Una delle voci ricorda che sua madre non sopportava che lei fosse grassa: «Voleva diventare una ballerina e quando mi diceva ‘come sei dimagrita’ era il suo massimo riconoscimento». Nei vapori le parole si mescolano, i corpi sono frammenti di cosce, seni, ginocchia, volti coi capelli bagnati. Dicono un dolore, che diviene nel tempo scoperta di sé, ci confrontano con la malattia, la paura, i modelli imposti – «ho dovuto arrivare a 40 anni per sentirmi bella». Questa cartografia lascia fuori la gioia per tornare indietro al silenzio: la risata è essere lì insieme, aprire la propria fragilità, scoprirsi vicine, amarsi in una complicità che nel dire è già forza, dichiarazione di resistenza.
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