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Tribune politiche: a qualcuno piace freddo

Ri-Mediamo Non è lecita la «retrotopia», vale a dire il desiderio di tornare all’era di Jader Jacobelli. Ma sognare non è un peccato

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 1 maggio 2019

Siamo entrati dal 17 aprile scorso nel periodo stretto della par condicio, in vista del prossimo voto europeo. Quello che segue alla presentazione delle liste. Massima l’allerta e, in caso di infrazione delle regole previste dalla legge n.28 del febbraio 2000 (tra poco ne ricorrerà, dunque, il ventennale) nonché dai regolamenti attuativi, le sanzioni dovrebbero essere aspre e veloci.

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che pure su diverse questioni è attenta – vedi il bel documento su Radio radicale e non solo – sul rispetto del pluralismo dell’informazione è spesso debole. Un po’ come Concetta in Natale in casa Cupiello che è brava in tante cose, ma «’o ccafè non è cosa per te», la rimprovera Edoardo. Peccato. Ora che si va verso la nuova consiliatura è bene ragionare su simile annosa lacuna.

Basta, infatti, fare lo zapping senza strumenti se non qualche «occhio clinico», per agitare disperatamente come in una piece beckettiana cartellini gialli e rossi. Nel periodo «protetto» non esistono figli di un Dio minore e le trasmissioni che decidono di fare comunicazione politica non possono decidere in base a proprie soggettive convenienze.

Male ha fatto Fabio Fazio, ad esempio, ad annunciare interviste solo con i rappresentanti dei gruppi più grandi (5Stelle, Partito democratico, Lega, Forza Italia), relegando i restanti nel dimenticatoio mediatico. La normativa prevede, al contrario, le pari opportunità e in tal caso davvero uno vale uno. Così, suscitano dubbi le infornate di candidati (con quale criterio?) nel programma de La7 «Di martedì». E si potrebbe andare avanti, senza nulla togliere alle qualità dei conduttori o dei giornalisti. Nel piccolo schermo le leggi sono sempre un optional?

Un richiamo da parte dell’Agcom è urgente, perché il voto che ci aspetta è notoriamente di particolare delicatezza. Ugualmente, si ponga fine alla permanente soggezione al vice-premier Salvini, le cui apparizioni ripetute vanno inserite nel computo della sua forza politica, e non lasciate in una linea d’ombra.
I talk in Italia sono numerosi come in nessun altro paese e, quindi, la vigilanza è particolarmente necessaria. Naturalmente, si pone con altrettanta urgenza l’indicazione di talune linee generali pure per i social, quanto meno per ciò che riguarda il silenzio elettorale, le dirette, la divulgazione dei sondaggi. E, soprattutto, attraverso l’obbligo di notificare alle autorità competenti l’eventuale utilizzo dei profili delle persone da parte dei soggetti elettorali. Del resto, Facebook è sotto schiaffo e già rischia multe salatissime, ma non ancora sul diretto protagonismo politico.

E le tribune della Rai? Finora di ben scarso peso. Le trasmissioni avvenute nella prima fase della par condicio – tribune di 40 minuti sulla seconda rete nel periodo 8-12 aprile (orario 17-20) – hanno oscillato tra 1,4% e 2% di ascolto. Quindi, tra 199.000 e 145.000 utenti. Le interviste di 5 minuti sulla terza rete andate in onda nello scorcio 11-15 aprile alle 23:05 sono andate leggermente meglio: da 2,9% a 2,2%. Da 574.000 a 364.000 volenterosi.

Ora sono attesi i confronti «a tre» in prima serata, forse una formula di maggiore efficacia. Certamente, però, l’esiguità dello share impone un serio ripensamento del e sul racconto della politica in televisione. Non è lecita la «retrotopia», vale a dire il desiderio di tornare all’era di Jader Jacobelli. Ma sognare non è un peccato. E il vento fa il suo giro: nella rappresentazione, non solo nella rappresentanza. Tra il cielo e la terra ci sono tante più cose.

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