Tremila lavoratori appesi a un filo. Ma la politica tace
La crisi del colosso dei servizi telefonici Abramo Costumer Care La Acc è all’asta e non è arrivata nessuna offerta. Incombe lo spettro del fallimento
La crisi del colosso dei servizi telefonici Abramo Costumer Care La Acc è all’asta e non è arrivata nessuna offerta. Incombe lo spettro del fallimento
Il 22 luglio era il giorno delle buste. Ma l’asta è andata deserta. E per i 3 mila lavoratori della Abramo Customer Care il telefono piange ancora. La Acc, un colosso dei servizi telefonici, forte di appalti con Tim, Enel, Poste, Vodafone, 100 milioni di giro d’affari messi a bilancio nel 2019, è in crisi verticale. Stabilimenti sparsi per l’Italia, sedi in Sicilia, Roma e Crotone. Qui c’è il più grande call center del mezzogiorno, 1900 dipendenti.
È nelle anguste stanze della sezione fallimentare del tribunale di Roma, a viale delle Milizie nel rione Prati, che si decide il futuro di questi 3mila telefonisti. Il tribunale capitolino ha messo all’asta la Acc, dopo avere accolto la richiesta di concordato preventivo. Il decreto che ammette l’azienda catanzarese alla procedura concorsuale è stato firmato il 17 giugno dalla giudice Maria Luisa De Rosa.
La vendita del complesso aziendale della società concordataria – si legge nell’avviso di gara – è finalizzata alla presentazione di offerte concorrenti, rispetto alla proposta irrevocabile di acquisto formulata dalla Heritage Venture Ltd Investment Company. È il fondo irlandese che si era detto disponibile all’affitto del ramo d’azienda salvo poi ripiegare sull’ipotesi di acquisto all’asta quando nella trattativa è comparso un altro soggetto, la calabrese System House. Il prezzo base è di 1.700.000 euro.
Poteva essere una bella giornata per i lavoratori. Invece il 22 luglio loro non si sono svegliati da quest’incubo lungo un anno. E lo spettro del fallimento incombe.
Nessuna traccia dell’offerta del fondo Heritage né di quella della System House. I giudici ora potrebbero decidere per una nuova asta al ribasso. Intanto, i sindacati sollecitano la convocazione urgente del tavolo istituzionale già aperto al Mise 5 mesi fa. Cgil, Cisl e Uil evidenziano «la necessità di salvaguardare complessivamente il perimetro occupazionale e tutti i siti operativi in Calabria, Sicilia e Lazio, le relative sedi e i trattamenti economici dei lavoratori».
Stefano Mancuso, Cobas Telecomunicazioni di Cosenza, ribadisce «che è proprio il sistema degli appalti a generare crisi aziendali come queste. Bisognerebbe superare questo modello malato, votato al massimo profitto immediato a scapito di diritti, salario e futuro dell’impresa». Una soluzione potrebbe profilarsi internalizzando tutti i servizi di contact center. Da più parti si segnalano anche i rischi del ribasso d’asta, che potrebbe comportare il mancato pagamento dei crediti maturati dai lavoratori. «Si prospetta – spiega Mancuso – un mantenimento in amministrazione straordinaria dell’azienda. Nel frattempo i vari appalti scadranno e dovranno essere assegnati ai nuovi vincitori. Così avverrà lo svuotamento progressivo dell’azienda. I lavoratori passeranno a chi vincerà le commesse. C’è il pericolo che perdano diritti».
Il silenzio della politica è tombale. Nei giorni preelettorali la vertenza dei lavoratori Acc è un fantasma nei comizi. Ai tavoli ministeriali la regione non si è mai presentata. Forse pesa l’imbarazzo del fatto che Acc è la holding di famiglia di Sergio Abramo, sindaco di Catanzaro per quattro mandati (!), uomo forte della destra calabrese, esponente di Forza Italia. E Roberto Occhiuto, l’aspirante presidente, nonché attuale capogruppo azzurro alla Camera, non ha speso una parola per i 3mila lavoratori appesi a un filo. Non più quello del telefono.
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