Nicola Zingaretti costringe alla tregua le minoranze renziane, che del resto, indebolite dal caso Lotti e dalla estemporaneità dei progetti del senatore di Scandicci, non hanno alternativa. Ieri la direzione del Pd si è conclusa senza un voto sulla relazione del segretario. Scelta concordata per non mortificare nessuno, e non certificare che alla fine erano tutti d’accordo. Dopo la nomina della segreteria il leader può lavorare al radicamento del partito: non «un club di intellettuali, dobbiamo sapere coinvolgere l’Italia nella stesura di una nuova agenda. Non si può costruire questa agenda chiudendoci una settimana in una stanza».

ZINGARETTI SPERA ancora nel voto anticipato ma prende atto che l’ipotesi per ora si allontana. «Salvini è una forma originale, europea, e per alcuni versi peggiore del peronismo. Crea disuguaglianza sociale. Il nostro primo compito è far emergere la contraddizione del nucleo popolare e il carattere padronale delle scelte che Salvini esprime». E così si prepara alla lunga marcia, esercizio sempre pericoloso per un segretario Pd. Prossima tappa, se non saranno le politiche, saranno le regionali in Calabria, Emilia Romagna e Umbria: voti ad alto rischio, a guardare i risultati delle amministrative.

Ieri aprendo i lavori dopo aver ammesso «grandi ferite» dei ballottaggi – brucia l’ultima catastrofe, il voto sardo – pur accanto a «grandi successi», Zingaretti ha chiesto al partito di essere «sempre pronto» al voto. Ma, aggiunge, «siamo di fronte a una possibile e duratura egemonia di forze illiberali». Per questo giura di voler «ricostruire un clima di fiducia e unitario che ci consenta di combattere le nostre battaglie». E per evitare l’accusa di avallare il correntismo fa sapere che non accetterà inviti alle riunioni delle aree.

Di fatto, di fronte all’eterno problema della rissosità interna, il segretario – accusato dai renziani, a sprezzo del pericolo, di «bullismo correntizio» – offre una tregua alla minoranza «realista» e quantomeno una coabitazione pacifica alla minoranza legata all’ex segretario. «Non c’è stata alcuna volontà di esclusione nel fare la segreteria» ha spiegato, «ma non ci sono state le condizioni politiche per coinvolgere pienamente le minoranze congressuali». Rivendicato il diritto di dirigere il partito, ai moderati però offre una garanzia: il Pd non guarderà solo a sinistra e soprattutto non affiderà a Carlo Calenda la costruzione di una ‘cosa di centro’. Prima della direzione infatti incontra Lorenzo Guerini, ormai unico riferimento di Base riformista dopo l’autosospensione di Luca Lotti. Guerini è poi tra i primi a intervenire: dà un colpo a Calenda – che nella sua irrefrenabile vis dichiaratoria era arrivato a vantare come personali le tante preferenze raccolte – «è un protagonista ma gran parte dei suoi voti sono del Pd», accetta la tregua: «La parola che deve uscire da questa direzione è che il Pd non deve smarrire la sua vocazione maggioritaria. La tentazione di assegnare dei ruoli, tu fai la sinistra, tu fai il centro, è sbagliata».

Diverso il discorso per la corrente Sempre avanti. Ai suoi, lo stesso Renzi (assente) aveva consigliato di non attaccare troppo il segretario: la vicenda di Lotti non ha certo rafforzato l’area che lo ha difeso a spada tratta. Non è un caso che il combattivo frontman Roberto Giachetti evita di intervenire. Luciano Nobili però usa parole dure sulla segreteria a cui non partecipano per scelta. «Dare la delega alle riforme a una persona che ha votato no al referendum costituzionale del 2016» il riferimento è al deputato Andrea Giorgis, «è una ferita molto grave». E qui apriamo una parentesi: in effetti la scelta di Giorgis, lodevole e in discontinuità con il passato, arriva senza che dal segretario siano pronunciate parole anche autocritiche sull’adesione a quel referendum. Ma Andrea Marcucci, presidente dei senatori dem, alla fine accetta il ramoscello d’ulivo: «Fa bene sentire che Zingaretti oggi ribadisca la centralità della vocazione maggioritaria. Nel governo M5S e Lega sono entrambi pericolosi. Non possiamo dire questa va un po’ meglio, quello invece è pericoloso. M5S e Lega sono entrambi pericolosi».

IL SEGRETARIO RIBADISCE però la disponibilità verso gli ex elettori grillini: «A quelli che hanno sostenuto liste civiche e che decidono di riorganizzarsi dico, noi siamo qui, disponibili ad aprire un cantiere». A chiarimento della proposta arriva l’appello di Goffredo Bettini: «Se di fronte al pericolo di questa nuova destra cresceranno esperienze civiche, moderate e liberali, o se si spaccherà il movimento 5Stelle e una parte avrà il coraggio di scegliere il campo democratico, tutto ciò ben venga. Ma si faccia presto. Ognuno si assuma le proprie responsabilità».

QUANTO AL CENTRO, anche qui il segretario abbandona il consueto genericismo: alle forze liberali che guardano al Pd «dico bene, è il momento di battere un colpo», «sento parlare di ipotesi di nuovi soggetti, non ci sottraiamo ma stiamo attenti che sia una affiliazione di gruppi dirigenti che si dividono il consenso che già c’è. Per tutti c’è il problema del radicamento e di non dividere il campo dell’unica forza democratica che combatte». Insomma, se un soggetto dovrà nascere, non nascerà da una scissione dem. O almeno non con la sua benedizione, come aveva capito – e detto – Calenda. Approvato il regolamento per l’elezione della Conferenza delle donne e della sua portavoce (un astenuto, Ivan Scalfarotto). Assemblea nazionale il 13 luglio.