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Tre palestinesi uccisi nel venerdì della “Gioventù ribelle”

Tre palestinesi uccisi nel venerdì della “Gioventù ribelle”

Marcia del Ritorno I militari israeliani hanno di nuovo aperto il fuoco sui manifestanti palestinesi lungo le linee di demarcazione con Gaza. Centinaia di feriti oltre ai tre morti. In Romania è crisi sul possibile riconoscimento da parte del governo di Gerusalemme come capitale d'Israele

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 28 aprile 2018
Michele GiorgioGERUSALEMME

Il venerdì della “Gioventù ribelle”, chiamato così per ‎«onorare‎», hanno spiegato gli ‎organizzatori, ‎«le migliaia di giovani che protestano ogni settimana lungo la ‎barriera di confine‎», è terminato con un nuovo bagno di sangue. Tre palestinesi – ‎Bakr Abdel Salam, 29 anni, Mohammed al Muqid, 21 anni e un terzo ieri sera non ‎ancora identificato – sono stati uccisi e altre centinaia feriti dai colpi di arma da ‎fuoco e dai gas lacrimogeni sparati dai soldati israeliani schierati lungo le linee di ‎demarcazione con Gaza. Si sono vissute le stesse scene drammatiche dei venerdì ‎precedenti. Con i morti e feriti portati via di corsa da giovani con la disperazione ‎dipinta sul volto e le ambulanze che hanno fatto la spola tra gli accampamenti della ‎‎”Grande Marcia del Ritorno” e gli ospedali. Tra i feriti ci sono anche una donna di ‎‎50 anni colpita alla testa e due giornalisti. Appena qualche ora prima Nikolai ‎Mladenov, inviato speciale dell’Onu per il Medio Oriente, aveva lanciato un ‎avvertimento. ‎«Gaza sta per esplodere» ha detto, sottolineando che il blocco ‎israeliano da dieci anni strangola Gaza e i suoi due milioni di abitanti. ‎«Quello che ‎sta accadendo a Gaza è una ingiustizia con cui nessun uomo, nessuna donna e ‎nessun bambino dovrebbe fare i conti – ha denunciato l’inviato dell’Onu – Le ‎persone non dovrebbero essere condannate a vivere circondate da barriere che non ‎gli è permesso attraversare o acque che non possono navigare‎». Mladenov non ha ‎rivolto critiche solo a Israele. Ha esortato Hamas a tenere conto di più dei bisogni ‎della popolazione sotto il suo controllo. Ieri i leader del movimento islamico erano ‎negli accampamenti della “Grande Marcia del Ritorno”, per il rituale bagno di folla ‎e si sono tenuti ben lontani dalle barriere con Israele. Il capo di Hamas, Ismail ‎Haniyeh, nei giorni scorsi aveva assicurato che le proteste, diversamente da quanto ‎annunciato in precedenza, continueranno dopo il 15 maggio, il giorno in cui i ‎palestinesi commemorano la Nakba che quest’anno coincide con l’inizio del ‎Ramadan islamico.‎

‎ Il momento più critico ieri si è vissuto lungo le recinzioni a est di Gaza city. Un ‎nutrito gruppo di giovani ha raggiunto le barriere provandole a superare. ‎«Non è ‎chiaro se alcuni di loro siano effettivamente passati sull’altro versante, quattro di ‎loro potrebbero averlo fatto. La reazione dei soldati israeliani è stata durissima. ‎Hanno fatto fuoco a volontà su quei ragazzi disarmati, uccidendo alcuni e ferendone ‎tanti altri» riferiva ieri al manifesto il giornalista Safwat Kahlout che si trovava in ‎quella zona. Quei giovani palestinesi per il portavoce militare israeliano, Jonathan ‎Conricus, erano soltanto dei ‎«facinorosi‎» che ‎«hanno lanciato pietre e bottiglie ‎incendiarie con l’intenzione di sfondare i reticolati di confine e appiccare il fuoco‎ ‎ma sono stati respinti». Ha precisato che i soldati hanno aperto il fuoco ‎«secondo le ‎regole di ingaggio» che, evidentemente, prevedono l’apertura del fuoco contro i ‎palestinesi anche se sono disarmati. Ieri sera l’Egitto, che con le sue politiche di ‎chiusura contribuisce al blocco di Gaza, ha annunciato – qualcuno sostiene per ‎stemperare la tensione – l’apertura del valico di Rafah, in entrambe le direzioni, per ‎tre giorni a partire da oggi. Negli ultimi tre anni, il transito di Rafah, l’unica porta di ‎Gaza sul mondo arabo, è rimasto chiuso per la gran parte del tempo per presunte ‎ragioni di sicurezza.

‎ Intanto la questione di Gerusalemme e del suo riconoscimento come capitale di ‎Israele in violazione delle risoluzioni internazionali, sta provocando una profonda ‎crisi politica in Romania. Il capo dello stato, Klaus Iohannis, ha invitato alle ‎dimissioni il primo ministro, Viorica Dancila, dopo la decisione del premier di ‎spostare a Gerusalemme l’ambasciata ora a Tel Aviv. ‎«La signora Dancila non è ‎all’altezza del compito di primo ministro della Romania e di conseguenza il governo ‎sta diventando un peso per la Romania‎», ha detto Iohannis denunciando di non ‎essere stato informato del memorandum segreto con cui il governo si prepara a ‎seguire i passi di Donald Trump su Gerusalemme. Mercoledì Dancila era volata in ‎Israele su invito del premier Netanyahu informando solo all’ultimo momento il ‎presidente che invece resta fedele alla linea dell’Ue su Gerusalemme contraria ‎all’annessione di tutta la città a Israele. ‎

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