Cultura

Tre nomi ordinati in un crescendo iperbolico nel legame tra spazio e politica

Tre nomi ordinati in un crescendo iperbolico nel legame tra spazio e politicaUna installazione di Antony Gormley

SAGGI «Geografia, territorio, relazioni», un volume di Aldo Bonomi, Leonard Mazzone e Claudio Villiot. Una raccolta di saggi edita dall’Associazione Culturale Pensieri in Piazza aps

Pubblicato più di un anno faEdizione del 19 luglio 2023

Geografia, Territorio e Relazioni sono i termini che danno il nome alla raccolta di saggi di Aldo Bonomi, Leonard Mazzone e Claudio Villiot in un volume per Panerose Editore (pp. 199, euro 15), scegliendo di ridiscutere i segni della metamorfosi sociale a partire dal mutamento del territorio che incorpora in sé «il legame stretto esistente tra spazio e politica».
Leggere i problemi sociali in una prospettiva spaziale, e ancora più farlo nel tempo dell’infosfera, vuol dire porre il problema collettivo nei termini della relazione, ripensando il territorio come «spazio di resistenza rispetto alle tendenze centralizzatrici e verticalizzanti del potere». È a partire dagli anni ‘70, come ricostruisce Bonomi, che l’Italia post-fordista spande la fabbrica, portando il capitalismo a farsi «molecolare». È il tempo della «fabbrica diffusa» e della «lotta violenta», il tempo dello statuto dei lavoratori in cui le forme del locale e globale principiano il loro conflitto. È in quegli anni «che si depotenziano le due parole chiave della modernità politica: classe e nazione mentre riappaiono i termini antichi e interroganti come territorio e comunità». È nel rapporto tutto interno tra territorio e politica che si traccia il passaggio (o il paesaggio?) tra «coscienza di classe» e «coscienza di luogo»; in cui il territorio diviene nuova «fabbrica a cielo aperto, posta a metà «tra flussi e luoghi».

DOVE I LUOGHI «costituiscono la spazialità intessuta di rapporti di prossimità» mentre i flussi riproducono la «mobilità dei ruoli, la mobilità geografica e la simultaneità delle comunicazioni». Luoghi e flussi sono perciò il cuore della relazione. Viene alla mente l’antropologo Tim Ingold quando in The Life of Lines (Siamo linee, Treccani Libri, 2020) arriva a scrivere che: «ogni essere vivente è una linea o, meglio, un fascio di linee». Essere fascio di linee vuol dire considerare fondativo il tema della relazione, premetterlo a ogni discussione che implichi la formalizzazione di un principio territoriale. Annodando territorio e relazioni, il libro sceglie di non essere soltanto un testo di urbanistica, preferendo situarsi all’interno della più ampia discussione filosofica.
Il territorio si racconta a partire dalle forze che agiscono su di esso. Come negli anni ’90 nel cuore dell’Europa «si svelava il mostro del sangue e del suolo» così anche nel pieno della rivoluzione tecnologica il territorio non scompare ma diviene il cuore di una nuova forma di resistenza. Sono, oggi, gli operai di quei sistemi logistici, i riders, i lavoratori sfruttati nei campi che contribuiscono alla realizzazione di una diversa forma di relazione. Ed è questa «trasformazione della composizione sociale» che sposta «il significato stesso di territorio», che posiziona la soggettività «al di fuori degli apparati formali, dei canali di rappresentanza». D’altra parte quegli stessi operai che costituiscono la rete di ingranaggi (in un sistema logistico sofisticato che è alla base di ogni guerra) sono parte di un complesso di nuovi servitori.

LO STATO, ormai «impermeabile al territorio», ha «fagocitato una sfera della rappresentanza politica sempre più sradicata» ed è nelle geografie che dimenticano i territori che si smorza qualsiasi forma di cittadinanza. Geografia, territorio e relazioni sono tre nomi ordinati in un crescendo iperbolico, dove geografia e territorio si stringono alla relazione e la relazione ambisce ad essere, in realtà, il principio primo di una più pura geografia sociale. Bisognerebbe chiedersi allora, come fa Bonomi nel suo testo, «se il territorio nel suo aggancio con la nazione comparirà ancora nell’agenda dei padroni dei flussi, oppure, se verrà inquadrato come spazio denso di identità, corporazioni e rapporti sociali, come grumo di resistenze da sciogliere in nome di nuovi valori astratti come competizione e competenza»; non dimenticando di ragionare su quella forma di immigrazione spesso permanente (modello Riace?) che potrebbe mostrare, proprio a partire dal rapporto con il territorio, un ricongiungimento serio con la nazione («intesa non come sangue e suolo ma come fascio di diritti») portando finalmente all’«elaborazione di nuova cittadinanza». Ecco le forme di una comunità di cura, la «dimensione di ancoraggio di un possibile nuovo ciclo politico» più o meno «disancorato dal peso delle eredità organizzative del passato». È quanto Bonomi chiama «esodo della speranza», «l’emergere del territorio come terzo racconto tra Stato e mercato».

IN SENO A QUESTO TERZO racconto, ovvero a partire dal territorio e dalle sue relazioni, da queste nuove Mirafiori, può darsi una forma di comunità capace non soltanto di competere sui mezzi ma di negoziare sui fini o – come scrisse Luciano Gallino – di permettere «la lotta di classe dopo la lotta di classe». Insomma, nel tempo dell’apatia e delle comunità inoperose cominciamo a determinare – come da tempo richiede Famiano Crucianelli – «nuovi salari di contadinanza», per contrapporre al racconto di quella «modernità delle élites» che massimizza i profitti un nuovo «spazio di rappresentazione, dove precipitano tecnologie e nuove forme di lavori» ma in cui, a ben guardare, la società riorganizza le forme di una rinnovata e più giusta convivialità.

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