Tre mandati e cultura democratica
Ho ascoltato alla radio una rassegna stampa (di Radio Radicale) nella quale si citava l’ipotesi di un accordo “sottobanco” tra Lega e parte degli eletti nel Pd per approvare un emendamento a una qualche legge sugli enti locali che aprirebbe la possibilità del “terzo mandato” per sindaci e presidenti delle Regioni, ormai comunemente per quanto erroneamente chiamati, all’americana, “governatori”.
Sarebbe una brutta cosa, non perché mi scandalizzi la possibilità di una identità di vedute tra leghisti e democratici, ma perché mi sembra una cosa sbagliatissima. Qualche volta ho parlato in questo spazio della mia esperienza più che decennale di responsabile della comunicazione prima al Comune di Genova e poi alla Regione Liguria. Ho avuto la fortuna di collaborare con amministratori da cui penso di aver imparato qualcosa su come funziona (o più spesso non funziona o la fa male) il “decentramento amministrativo”. C’era una contrarietà di fondo sia alla ipotesi del “terzo mandato” che già allora circolava tra i più appassionati della efficienza amministrativa, altrimenti detta “governabilità”, sia all’uso dell’improprio termine “governatore”.
Il quale, a prenderlo sul serio, allude, come negli Usa (dove tra l’altro il presidente fa due soli mandati), a una struttura federale dello Stato che da noi è stata evocata fantasiosamente (e tradotta in una pessima riforma costituzionale, voluta a maggioranza dalla sinistra).
Qualcuno osserva: ma non ci sono limiti per altre funzioni politiche importanti. Per esempio alla carica del Presidente della Repubblica. Come non sarebbero previsti nella ipotesi di “premierato” contraddittoriamente avanzata dalla destra.
Be’, sarebbe semmai il caso di introdurli, tanto più se malauguratamente passasse il disegno di rendere diretta l’elezione del capo del governo e dello stesso capo dello Stato.
Ma perché si vogliono cariche che possano durare sempre più a lungo? Non insospettisce che questa tendenza, portata gli estremi, è proprio la prassi dei regimi autoritari, come insegnano Putin e Xi Jinping, e altri simili personaggi?
La durata di un decennio (5 più 5), come avviene nei Comuni e nelle Regioni, mi pare perfetta per provare, vinte le elezioni, a impostare e attuare un programma di governo che, se non ottiene risultati positivi e evidenti in un tale arco di tempo, era certamente sbagliato: una strada da abbandonare per imboccarne altre. Se invece il programma produce cose buone, allora è altrettanto certo che non poteva essere frutto delle capacità di un solo uomo o donna, ma, come si dice, di una “squadra”, dalla quale potrà emergere un ricambio per dare nuova spinta a una compagine che ha dato già buona prova.
Non prendo nemmeno in considerazione il fatto che dietro questa passione per i terzi mandati ci siano semplicemente le ambizioni più o meno smodate di alcuni degli attuali governanti. Già questa ipotesi è uno dei più forti argomenti contrari. Il punto è che queste tendenze parlano di una cultura poverissima della democrazia. Anzi, una incultura. Che sarebbe tanto più grave se venisse dalle fila di un partito che ha voluto chiamarsi “democratico”.
La famosa frase di Churchill, la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre, non ci basta più quando la democrazia tende a negare se stessa in modi sempre più inquietanti.
Si deve desiderare l’uomo, o donna, sempre solo/a al comando continuo come “soluzione” all’incapacità di produrre una “classe dirigente” all’altezza della funzione politica?
O ci si deve interrogare radicalmente perché la politica oggi non attrae più le intelligenze, le motivazioni, le capacità necessarie?
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